Il Friuli resta ancora senza riscaldamento, si salva solo la montagna: le date e le nuove regole

Riscaldamento in Friuli, regole e zone.

Friulani, attenzione a dove abitate: perchè gran parte della regione, ad eccezione delle zone montane, dovrà restare senza riscaldamento ancora per qualche giorno. E precisamente fino al 22 ottobre. Il motivo è semplice: il decreto taglia consumi del riscaldamento, quello firmato solo pochi giorni fa dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, divide l’Italia in zone climatiche, e il Friuli, di fatto, si trova in bilico tra la zona E e la zona F.

Proviamo a capire: per prima cosa questa forma di austerity vale solo per gli impianti a gas. Quelli alimentati a gasolio, invece, possono rimanere accesi liberamente. L’importante è che nelle abitazioni private la temperatura non superi i 19 gradi, che si abbassano a 17 nelle aziende (ma con tolleranza di 2 gradi in entrambi i casi).

Inoltre il periodo di accensione degli impianti a gas è stato ridotto di un’ora al giorno, e il periodo di funzionamento della stagione invernale 2022-2023 è accorciato di 15 giorni, posticipando di 8 giorni la data di inizio e anticipando di 7 la data di fine esercizio.

Le zone.

Ma torniamo alle zone: i comuni del Friuli Venezia Giulia che rientrano in zona E possono accendere il riscaldamento dal 22 ottobre fino al 7 aprile, per un massimo di 13 ore giornaliere. Per i comuni friulani che rientrano invece in zona F, quelli montani e dell’arco alpino, considerate le zone più fredde, non sono previste limitazioni di periodo e di orario.

Attenzione, quindi, a dove abitate, perchè basta spostarsi di qualche chilometro per ricadere in una zona o in un’altra. Esempio: in provincia di Udine la Carnia ricade quasi interamente in zona F, ad eccezione però di Amaro e Cavazzo Carnico, che sono in zona E, e quindi soggette alle limitazioni di orario.

Le riduzioni previste dal provvedimento ministeriale hanno però delle esenzioni: in particolare non si applicano agli edifici adibiti a luoghi di cura, scuole materne e asili nido, piscine, saune e assimilabili e agli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e simili per i quali le autorità comunali abbiano già concesso deroghe ai limiti di temperatura dell’aria, oltre che agli edifici che sono dotati di impianti alimentati prevalentemente a energie rinnovabili. Inoltre gli stessi sindaci dei vari Comuni, in “presenza di condizioni climatiche particolari”, possono modificare i limiti imposti dal decreto.