La chiesa di Sant’Antonio Abate a Udine riapre le porte dopo il restauro

L’inaugurazione dopo i lavori della chiesa di Sant’Antonio Abate a Udine.

In occasione del trentesimo anniversario dell’inaugurazione del Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo, martedì 29 aprile l’attigua “chiesa dei Patriarchi” riapre dopo la prima fase del restauro: viene così restituito alla comunità udinese uno dei luoghi che ne hanno fatto la storia. L’edificio, ancora consacrato, sarà adibito a uso culturale ed espositivo.

La sua bianchissima facciata domina l’odierna Piazza del Patriarcato, in pieno centro a Udine, da circa trecento anni, a incorniciare un edificio di culto che da quasi sette secoli è “la chiesa dei Patriarchi”. Quella chiesa, dedicata a Sant’Antonio abate, vedrà nuova luce a partire dal 29 aprile, quando i suoi battenti riapriranno alla città dopo la prima fase di importanti lavori di restauro.

“Con la benedizione e l’inaugurazione della rinata chiesa di Sant’Antonio abate – ha affermato l’arcivescovo monsignor Riccardo Lamba, successore diretto di quegli antichi Patriarchi –, l’Arcidiocesi di Udine restituisce un bene prezioso alla fruizione di tutta la città di Udine, un luogo che potrà essere nuovamente ammirato e apprezzato in tutta la sua maestosità artistica e la sua valenza storica”.

Fino in tempi recenti, molti varcavano la soglia di questa chiesa per ammirare esposizioni e mostre, grazie a un allestimento permanente. Allestimento la cui rimozione lascia ora intravedere i lacerti di affreschi trecenteschi e le tombe dei patriarchi: la chiesa, infatti, ospita le tombe di Francesco ed Ermolao II Barbaro, oltre a Dionisio e Daniele Dolfin (ultimi due Patriarchi di Aquileia, seppur residenti a Udine). La chiesa è di proprietà dell’Arcidiocesi di Udine, sotto la gestione dell’attiguo Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo ed è un edificio ancora consacrato, sebbene non adibito al culto.

Trent’anni di Museo diocesano nel Palazzo patriarcale

La data scelta per la riapertura della chiesa di Sant’Antonio non è casuale, come ricorda lo stesso Arcivescovo: “La chiesa è un luogo di arte e incontro in continuità con l’attiguo Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo che proprio in questa chiesa, il 29 aprile del 1995, inaugurava la sua nuova sede nel Palazzo patriarcale“. Ecco, dunque, un secondo motivo di festa: il trentennale dell’apertura del Museo diocesano nella sede del palazzo patriarcale. Il Museo, che fino ad allora era ospitato nell’ex seminario di viale Ungheria, trovava quindi la sua collocazione attuale grazie all’opera congiunta dei compianti mons. Gian Carlo Menis e dell’arcivescovo mons. Alfredo Battisti, che in quell’occasione – come riporta la rivista museale Vultus Ecclesiae – espresse “soddisfazione per quanto realizzato e per vedere finalmente conclusa quell’operazione culturale tenacemente voluta e perseguita”.

A proposito di Arcivescovi, è monsignor Lamba a tornare sull’evento inaugurale: “Con l’inaugurazione della chiesa di Sant’Antonio abate si ricrea con il Museo un ampliato percorso storico e artistico affinché, per il tramite dell’arte, la nostra cultura e devozione espresse con le opere lì custodite possano essere fiorente veicolo per una pastorale della bellezza, sempre più necessaria in questi tempi e sempre più vicina alle comunità in cammino”. Quella del 29 aprile non sarà dunque una festa per la sola chiesa di Sant’Antonio, ma per tutto il complesso museale diocesano, che ora potrà contare su un novero di spazi complementari e contigui tra loro dal punto di vista culturale, storico e, appunto, spirituale. Lungo tutto l’anno del trentennale, il Museo proporrà eventi e iniziative.

I lavori di restauro

“L’interno della chiesa, per lungo tempo adibito a luogo per mostre d’arte, presentava proprio a tale scopo una struttura espositiva che, pur garantendo l’allestimento, inibiva la completa visione del contesto dell’aula” spiega la conservatrice del Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo, Dania Nobile. “La rimozione dell’allestimento – prosegue Nobile – ha permesso una riqualificazione degli ambienti, consentendone la completa visione d’insieme e la conseguente messa in luce dei trecenteschi affreschi e del settecentesco altare maggiore che risultavano in precedenza oscurati nella loro visione d’insieme. La rimozione dei vecchi tendaggi inseriti degli anni ‘90 e l’adeguamento illuminotecnico concorrono a dare una nuova luce alla chiesa. La restituzione dell’originaria pavimentazione in terrazzo alla veneziana, infine, ricrea l’armonico dialogo tra questa e le pareti affrescate”.

Interventi importanti che però costituiscono solo la prima “tranche” di lavori ancora in programma. “In previsione vi è il restauro dell’esterno, che comprende la balaustra e le statue lapidee le cui superfici risentono purtroppo dello smog cittadino. In attesa di restauro vi è anche la lastra tombale del patriarca Dionisio Dolfin, la quale merita una particolare attenzione non solo per la conservazione del bene, ma anche come atto dovuto nei confronti di un patriarca che fu importante mecenate per la città di Udine», spiega la conservatrice. Nel frattempo, però, i locali interni potranno ospitare le prime esposizioni nella rinnovata veste, come afferma in conclusione Dania Nobile: “Alla riqualificazione si affianca la programmazione degli eventi legati al progetto “AbitUdine al confronto” che vedrà fino a tutto il 2026 la sua sede espressiva proprio in questa chiesa”.

L’inaugurazione

L’evento inaugurale del 29 aprile, che per questioni di sicurezza vedrà la partecipazione di un numero ristretto di invitati, prevede una benedizione della restaurata chiesa e i discorsi di rito. A inframmezzare i vari momenti saranno alcune esecuzioni corali da parte della Cappella musicale della Cattedrale di Udine.

La “chiesa dei Patriarchi”

La chiesa di Sant’Antonio era, in origine, un edificio in stile gotico risalente al XIV secolo; fu consacrata dal patriarca Nicolò di Lussemburgo, successore del Beato Bertrando, nel 1354. Dopo il trasferimento del patriarca dal castello di Udine al nuovo palazzo, nel 1593, la chiesa divenne cappella patriarcale. Accanto alla chiesa, sul lato sud, si svilupparono gli edifici che furono adibiti a Ospedale di Sant’Antonio, la cui gestione medica fu affidata agli Antoniani. Il complesso, comunemente chiamato “casa di Sant’Antonio”, diverrà col tempo sede del Patriarca e nei secoli si evolverà in quello che oggi conosciamo come Palazzo patriarcale, residenza vescovile e sede del Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo.

La facciata della chiesa fu realizzata tra il 1731 ed il 1734 da Giorgio Massari, su commissione del patriarca Dionisio Dolfin. Vi si trovano le nicchie di due statue delle allegorie della Carità e della Giustizia, opere di Antonio Gai, e in un ovale posto sopra il portale d’ingresso, il busto di Dionisio Dolfin dedicatogli dal nipote e successore Daniele Dolfin e scolpito da Giovanni Maria Morlaiter. Al centro del timpano si ammira lo stemma comune dei patriarchi Dolfin (con i celebri tre delfini) mentre a coronamento sono le statue di Sant’Antonio abate, al centro, e ai lati quelle di due santi protomartiri Ermagora e Fortunato in abiti vescovili – una scelta precisa volta a ricordare le origini della diocesi di Aquilea –, anche queste scolpite dal Gai.

All’interno della chiesa si trovano le tombe di quattro tra gli ultimi patriarchi di Aquileia: sulla parete destra sorgono i monumenti funebri di Francesco Barbaro ed Ermolao II Barbaro; e a terra le più semplici lapidi di Dionisio Dolfin e Daniele Dolfin, sepolti nella cripta a oggi inaccessibile.

La chiesa è priva dell’altare a mensa post-conciliare: sull’altare maggiore svetta la statua di sant’Antonio abate, opera di Giovanni Maria Morlaiter del 1737. Alle pareti della chiesa sono riaffiorati ampi lacerti di pitture trecentesche, residuo di quello che doveva essere uno spettacolo d’arte per chi varcava la soglia; tra queste opere risplende ancora oggi la Madonna in trono col Bambino e santi. L’ultimo Vescovo a celebrare la Messa in questa chiesa fu monsignor Zaffonato negli anni Settanta. Dopodiché l’edificio fu destinato a un uso non liturgico