L’assordante silenzio che avvolge la parola ‘suicidio’, un tabù ancora troppo presente

Attualmente in Italia e nel mondo si stanno sdoganando tematiche e terminologie nuove, prima sconosciute o tabù. Anche se questo risulta essere un grande passo avanti, siamo ancora molto indietro riguardo argomenti presenti da anni che però sono ancora di difficile accettazione. Si pensi alla tossicodipendenza, alla malattia mentale o al suicidio. Molte persone o addirittura testate ed amministrazioni faticano ancora oggi, difatti, ad inserire le tematiche sopra elencate nei loro approfondimenti. Come mai questo?

Il termine “suicidio”, in particolare, viene evitato da molti per la paura e l’impotenza che crea nonché per il carico di sofferenza che porta con sé ma ci sono anche stigmi e preconcetti precedenti. Fino a poco tempo fa, infatti, chi si toglieva la vita era giudicato duramente dalla chiesa cattolica e tutt’ora l’argomento non è completamente accettato (vedi ‘eutanasia’ ndr.). La dottoressa Federica Parri, responsabile dell’Osservatorio Suicidi del Friuli Venezia Giulia, conferma: “Solo nel 1983 è stato abolito il divieto formale di sepoltura per i morti per atto di suicidio. Prima di allora, anche i familiari venivano considerati pazzi, ed inoltre non potevano prendere l’eredità di questi defunti.

Nei secoli precedenti, i suicidi venivano puniti dopo la morte mettendoli alla gogna, mentre le donne, dopo che si erano tolte la vita, venivano esposte nude in luogo pubblico per disincentivare la pratica”. La reticenza ad affrontare l’argomento sta anche nel timore dell’emulazione: a fine Settecento, ad esempio, dopo la pubblicazione de “I dolori del giovane Werther di Goethe, molti hanno seguito, affascinati, l’esempio del protagonista. Simile sorte anche per il volume di Foscolo, “Ultime lettere di Jacopo Hortis”. La fascinazione deriva da una letteratura che ne parla in modo avvolgente e romanzesco, e che trasporta fuori dalla realtà. In questi casi, sta al lettore evitare l’immedesimazione e le fughe mentali dal presente, considerando anche le conseguenze reali e permanenti dell’atto. Al contrario di ciò che si pensava una volta, però, oggi sappiamo che parlare del suicidio può essere un buon deterrente per evitare che il gesto si compia ma per farlo occorre parlarne in modo realistico, appunto, sottolineando entrambi i lati della medaglia.

Ma come si è evoluta la situazione ad oggi? “La frequenza del suicidio in Italia è cambiata dalla fine dell’Ottocento agli anni Ottanta del XX secolo, vedendo un aumento progressivo negli anziani e una progressiva riduzione tra gli adolescenti. Tuttavia, nell’ultimo trentennio si è assistito ad un’inversione di tendenza nella frequenza del suicidio nelle fasce d’età più avanzate e una sostanziale stabilizzazione del fenomeno tra gli adolescenti.” afferma l’associazione Soproxi, nata nel 2006 dal medico psichiatra e psicoterapeuta Paolo Scocco che si occupa di fornire supporto alle persone che hanno subito un lutto simile. I dati Istat più aggiornati sui suicidi in territorio nazionale -che riguardano appena il 2020- parlano di 3.686 suicidi l’anno. Nel periodo 2015-2017, il tasso di suicidi è stato pari a 6 per 100mila residenti. Ciò vuol dire 1 ogni 40 secondi. Un dato paradossalmente migliore rispetto alla media europea, con 11 suicidi per 100mila abitanti, mostrando un calo del tasso di mortalità dal 2000 al 2016 riportato dall’ISS. Uno dei problemi principali riguarda l’impossibilità di avere dati aggiornati ed ufficiali disponibili, una carenza che ha portato anche l’OMS ha richiedere l’istituzione di un organo che monitori il fenomeno. Ma anche l’effettiva attivazione dell’Oestes -Osservatorio Epidemiologico sui Suicidi e Tentativi di Suicidio- sembra ancora navigare nell’incertezza. Da tenere in considerazione anche il valore relativo dei dati ufficiali, in quanto essi vanno a considerare solo gli effettivi suicidi riusciti e non, quindi, i tantissimi tentativi o i casi a rischio. Inoltre, possono esserci casi di difficile interpretazione, ad esempio quelli conseguenti ad overdose. Sebbene, quindi, i numeri hanno dimostrato un ‘ribasso’ pre Covid, nel 2008 (in corrispondenza della crisi economico-finanziaria) hanno visto un aumento che ha riguardato proprio gli uomini in età lavorativa. Ad oggi la situazione non sembra migliorare, anzi: tra post-pandemia, l’incertezza causata dalla guerra nella vicina Ucraina e conseguente rincaro delle forniture, nonché la crisi economica, gli psicologi stanno segnalando una potenziale crisi da non sottovalutare. Stefano Callipo, direttore dell’Osservatorio Suicidi di Roma, afferma: “L’Italia attualmente si sta indebitando ed il rischio è proprio un’impennata di suicidi tra uomini in

età lavorativa 40-50 dovuta a motivi economici. Si è rilevato comunque anche un aumento esponenziale di atti autolesivi e di violenza nella sfera giovanile.”

Chi ha pagato di più le conseguenze della pandemia sono proprio i giovani, con un incremento di tentativi di suicidi di ben il 75% nell’ultimo anno tra ragazzi dai 9 ai 17 anni. I dati sono stati comunicati dalla Federazione Italiana Medici Pediatri che si è occupata di analizzare gli ultimi aggiornamenti 2021-2022 riguardanti i disagi sulla salute mentale, sempre più in aumento.

Segnalati aumenti di disturbi di condotta alimentare, ritiro sociale, ricoveri ospedalieri ed uso di psicofarmaci. La situazione psicologica ed emotiva degli italiani post-pandemia, insomma, è ancora critica e sembra in peggioramento.

Le molteplicità di fattori di rischio e motivazioni che possono portare a tale gesto sono varie. C’è chi la definisce una “tromba d’aria” che vedi arrivare all’improvviso, in modo confuso, indefinito o ancora, “un pugno vuoto” che ti colpisce al cuore facendoti restare inerme e disorientato. Ma quella tromba d’aria o quel pugno in realtà non sono improvvisi, si stavano preparando pian piano ammassando tanti piccoli malesseri, per poi colpire in una volta sola. Le difficoltà della vita possono causare dolore ma ci sono vari fattori di rischio che portano ad affrontare i problemi in modo non sano, alle volte rifuggendo da essi e trasformando il dolore in sofferenza. A volte c’è una predisposizione genetica che porta alla depressione, spesso in correlazione a fattori ambientali e sociali, o a determinate patologie (disturbi d’umore, borderline, schizofrenia o depressione maggiore). Da considerare anche le problematiche familiari subite in età evolutiva, persone con familiari morti per suicidio, o la rigidità emotiva. Molto spesso però è la sensibilità che porta a vivere tutto molto più intensamente, ma anche coloro che hanno subito varie situazioni stressanti o coloro che, al contrario, non sono stati abituati ad affrontarne, posso percepire le difficoltà come insormontabili. Ecco che arrivano a giocare un ruolo cruciale le emozioni e le sensazioni provate: angoscia, confusione, paura, solitudine, smarrimento, rabbia, nessuna speranza per il futuro. A queste, molto spesso si accosta anche il senso di colpa di sentirsi in tale stato, perché “c’è sempre chi sta peggio”. Un loop senza fine, in cui difficilmente chi non è mai entrato riesce ad immedesimarsi. E i ritmi frenetici della società e del lavoro non aiutano di certo prendersi cura e a lavorare su se stessi.

I campanelli d’allarme possono essere vari: in primis i segnali verbali (contrariamente al mito da sfatare che “se qualcuno ne parla vuol dire che non lo fa”); l’isolamento sociale ed emotivo; la trascuratezza improvvisa dell’igiene o il disfarsi di oggetti rari o preziosi; perdere interesse nelle cose o iniziare una religione particolare; mettere da parte tanti farmaci; fare cambiamenti importanti; incidenti (anche involontari); miglioramenti improvvisi (quelli sani non sono mai repentini ndr). Anche il luogo e le armi scelte per il tentativo di suicidio ci fanno capire l’intenzionalità più o meno marcata: “Ci sono armi più letali o armi più ‘lente’ -come i farmaci- che danno la possibilità di essere salvati. Chi lo progetta in scantinati o luoghi nascosti di conseguenza ha un’alta intenzionalità” conferma la dott.ssa Parri. Parlando di emulazione, attualmente il rischio per gli adolescenti si è spostato sui social e sulle chat non controllate dove i più giovani si possono sentire vicino a coloro che ‘triggerano’ (riattivano) dei loro vissuti dolorosi: “Voler essere in tutto e per tutto COME quella persona che ha compiuto il suicidio e non solo l’idea del ‘suicidio’ come atto in sé, per chi è in età evolutiva, fa capire come possa risultare un atto di non ritorno.” Conoscere i segnali è fondamentale, ma l’unico modo per evitare di arrivare così in là è fare un lavoro primario di prevenzione, imparando a conoscere e gestire gli stadi emotivi.

La responsabilità di creare dei rapporti di fiducia e a lungo periodo viene vista come uno spauracchio da evitare, l’ascolto dell’altro si evita dando spazio all’individualismo; i social non fanno altro che esacerbare questo processo rendendo tutti immediatamente ‘intercambiabili’.

Ognuno di noi però ha delle caratteristiche uniche che devono essere valorizzate dalla tenera età fino all’età adulta, quando spesso ormai ci si sente ‘persi’ in un modo che corre più veloce di noi. Proprio per questo, da alcuni anni Telefono Amico ha iniziato a sperimentare nelle scuole superiori percorsi di formazione all’ascolto per aiutare i giovani a riconoscere e verbalizzare l’esistenza di un disagio.

Rimandare i problemi pensando si possano risolvere è uno dei punti cardine che porta spesso ad entrare anche in situazioni di dipendenza che a loro volta, non fanno altro che nascondere ed amplificare il carico di problematiche che ci si porta dietro. “L’aumento dell’uso di THC nei giovani ha portato a molti esordi di schizofrenia ed episodi psicotici, anche perché è molto più forte di quello in uso negli anni Settanta” afferma il dottor Callipo. Anche gli stessi psicofarmaci usati come rimedio vengono poi ingeriti in grande quantità da molti al pari delle droghe, portando a situazione pericolosissime a rischio vita.

Come comportarsi quindi se abbiamo vicino qualcuno che sta soffrendo particolarmente?

Prima di tutto, parlare del problema per primi (il solo fatto di parlarne fa abbassare la tensione psichica ed emotiva); non giudicare e mostrarsi aperti (senza dire frasi fatte, ma dimostrare interesse anche con domande aperte); non cercare per forza una soluzione; attuare un ‘ascolto attivo’, reale, semplicemente restando in silenzio e restando con la loro sofferenza.

L’ascolto attivo in particolare è fondamentale: spesso, soprattutto chi è coinvolto emotivamente con la persona che soffre, non concepisce di essere impotente di fronte ad un male così grosso e cerca delle soluzioni. Ma nessuno può aiutare un altro che non lo voglia per primo, ed il vero aiuto passa attraverso la vicinanza ed il silenzio. Vicinanza e sostegno sono proprio i cardini di Telefono Amico Italia, base sicura nel nostro paese dal 1967, che afferma come ora più che mai c’è bisogno di sostegno: “ Riteniamo necessario creare una sinergia con le istituzioni pubbliche affinché si possa mettere in atto una vera strategia nazionale di prevenzione del suicidio: la mozione parlamentare approvata a giugno dalla Camera dei Deputati per la prevenzione del suicidio è stato un passo fondamentale in questa direzione, speriamo possa essere la manifestazione di una reale volontà di intervento e sostegno a chi opera con competenza già da molti anni.” Anche i volontari del servizio confermano come la fascia d’età si sia spostata molto verso il basso, verso i più giovani con problemi maggiori che riguardano la solitudine e la difficoltà di trovarsi accettati nella società. Per quanto riguarda gli adulti (prevalentemente maschi over 45) la solitudine è associata spesso alla mancata presenza di legami familiari.

A fronte di tutto ciò, sarebbe importante che all’interno di ogni comunità e nei comuni ci sia una sorta di aiuto per le persone che soffrono, sensibilizzando anche la cittadinanza tramite atti consapevoli utili a tutta la comunità (ad esempio il vicino che va a dare un’occhiata ecc.). Le figure necessarie per seguire le persone in difficoltà, difatti, non sono abbastanza: spesso le assistenti sociali non hanno tempo di seguire neanche i loro casi mentre a dover parlarne con i familiari c’è spesso un senso di vergogna. Una vergogna che dev’essere smantellata, per non lasciare un peso silenzioso sulle spalle di chi soffre fino a quando diventa troppo tardi. Per questo, risultano fondamentali alcuni strumenti a disposizione per sostenere ed aiutare in modo anonimo e gratuito le persone nei momenti di fragilità, come ad esempio: Telefono Amico (02 2327 2327- 324 011 72 52 – mail@micaTAI) che in occasione della Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio, il 10 settembre organizza un evento di sensibilizzazione in diverse piazze italiane; l’associazione di volontariato laico Samaritans (0677208977); l’associazione onlus De Leo Fund (line gratuita 800 168 678), con gruppi di sostegno e mutuo aiuto; l’onlus Soproxi (www.soproxi.it), che durante le giornate del 20 e 21 novembre, per la Giornata Internazionale dei Sopravvissuti al Suicidio, riserva annualmente dei seminari residenziali alle persone che hanno perso i propri cari, in ritiri fatti di sostegno, dialogo e meditazione.

“Cambia di molto la prospettiva se riusciamo a vedere che sotto la facciata razionale del pensiero di chi vuol farla finita, in realtà, la persona non cerca la morte ma scappa dalla sofferenza“, sottolinea Stefano Callipo. Ed è proprio lì, nell’ambivalenza tra il voler vivere e morire che noi possiamo intervenire”.