Bar e ristoranti chiusi, vino fermo nelle cantine pari a un’intera vendemmia: l’allarme dei produttori in Fvg

Allarme per il settore vitivinicolo in Fvg.

La pandemia frena, in modo deciso, anche il mercato del vino. Con ovvi riflessi sui produttori del Friuli Venezia Giulia. È un vero e proprio grido d’allarme quello lanciato da Coldiretti Fvg: le giacenze in regione a fine marzo 2021 ammontano a 2.079.886 ettolitri, circa l’equivalente di una vendemmia, con un incremento di quasi 4 milioni di litri sullo stesso periodo del 2020. Cifre che mettono in pericolo un comparto, quello dell’agroalimentare, che sviluppa un fatturato da 11 miliardi di euro e genera opportunità di lavoro per 1,3 milioni di persone

Quanto accade in Friuli Venezia Giulia è lo specchio di ciò che succede in Italia. Nel Paese, specifica Coldiretti nazionale, circa 200 milioni di litri di vino in più rispetto allo scorso anno (da 54 a 56 milioni di ettolitri) giacciono invenduti nelle cantine per effetto della chiusura di ristoranti, bar ed enoteche in Italia e all’estero che ha fatto crollare i consumi fuori casa con gravi difficoltà per il settore vitivinicolo italiano, in particolar modo quello legato ai vini a denominazioni di origine e indicazione geografica, a maggior valore aggiunto. Coldiretti sottolinea che le difficoltà della ristorazione si trasferiscono a valanga sull’intera filiera dove sono impegnati in Italia 250mila produttori di uve.

“Le giacenze di vino nella nostra regione sono di poco superiori a quelle del 2020 – commenta Marco Malison, responsabile del settore vitivinicolo di Coldiretti Fvg –. Tuttavia, siamo ugualmente molto preoccupati. Primo perché le eccedenze italiane deprimono anche il mercato dei vini locali. Secondo perché il dato regionale è frutto di una forte adesione a misure di riduzione volontaria della produzione messe in atto dai viticoltori la scorsa vendemmia. Peccato però che gli aiuti economici collegati a questo impegno, che dovevano arrivare entro la fine di dicembre, ad oggi devono ancora essere liquidati. E questo aumenta la crisi di liquidità delle imprese già duramente provate dal lockdown e sta facendo infuriare i produttori.

Preoccupazioni giungono anche da altre associazioni di categoria. “I numeri delle giacenze del vino, a fine marzo sono preoccupanti – spiega Michele Pace Perusini, presidente della Sezione economica viticola di Confagricoltura Fvg -. Quello che i numeri non dicono, purtroppo, è quanto di questo vino sia già imbottigliato e fermo. Tra l’altro, a esempio, nel primo trimestre del 2021 (rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) l’imbottigliamento del Prosecco Doc è cresciuto del 7,4%; quello del Pinot grigio Delle Venezie, dell’11,2%. Ciò non significa, però, che si vende più vino, ma semplicemente che ci si prepara a vendere quel vino (o, almeno, che si spera di venderlo presto). Perciò – aggiunge Pace Perusini – il focus dell’attenzione dovrebbe essere posto proprio all’aspetto economico della questione con i produttori stretti in una morsa. Da un lato l’Horeca che non paga le forniture a motivo delle aperture (e chiusure) a singhiozzo dei mesi scorsi (utilizzando i fornitori per finanziarsi, sostanzialmente). Dall’altra, le nuove spese che l’azienda deve accollarsi per imbottigliare e prepararsi alle prossime aperture dei mercati. Mercati che sono cambiati nei tempi della pandemia”.

Come vivono la situazione le cantine di casa nostra? “Siamo preoccupati non tanto per le giacenze in cantina, che nel nostro caso fortunatamente non sono molte, ma per il futuro dei ristoranti – fa notare Ornella Venica, responsabile marketing della storica azienda Venica&Venica di Dolegna del Collio -. Quante di queste attività avranno la forza per rimettersi in piedi? Le chiusure degli scorsi mesi sono state pesanti”. Durante il 2020, complice l’arrivo del coronavirus, la sua azienda ha perso il 27% del fatturato “ma nei primi mesi del 2021 – spiega Venica – abbiamo lavorato di più e siamo in esaurimento delle scorte in cantina. Il motivo? Durante gli scorsi anni, da gennaio a marzo gestivamo le prenotazioni, mentre ora abbiamo venduto proprio perché ci sono state le chiusure. Siamo felici che le attività di ristorazione possano finalmente ripartire, e noi con loro”. Qualche patema, però, resta: “Ci sono troppe incertezze – conclude – e ho paura che il 2021 possa in qualche modo ricalcare il 2020, per quanto ci riguarda. Ci vorranno tre o quattro anni per ripartire bene”.