Biker picchiato a Bertiolo, si fanno avanti altre vittime della “banda”

Sono decine le persone che in questi giorni stanno il prendendo coraggio di farsi avanti e di parlare dei tanti lati oscuri del motociclismo. Un mondo che all’apparenza fatto di fratellanza, ma che si sta rivelando avere assurde regole rigide gerarchiche non scritte.

Dopo l’episodio verificatosi domenica 26 marzo alla Festa del Vino di Bertiolo, in cui un motociclista è stato picchiato senza un’apparente ragione, ora più di qualcuno è stanco di tacere le tante, troppe angherie subite in moltissimi anni. Processi in atto, qualcuno anche già concluso, che fanno emergere quanto il clima di sudditanza psicologica sia purtroppo radicato, ma che soprattutto chi decide in maniera autonoma di non ‘obbedire’ a chi impone le proprie regole, venga preso di mira, emarginato e, nei casi più gravi come quello di Bertiolo, malmenato.

Lo sa molto bene Elia Favaro, un ragazzo di 28 anni, idraulico e volontario presso la C.r.i., che risiede a Mortegliano. La ‘colpa’ di Elia sarebbe stata quella di far parte del gruppo motociclistico ‘Mulinars’, dove l’unica ‘pretesa’ sarebbe quella di poter indossare il gilet con lo stemma del loro gruppo, in gergo chiamato toppa o patch, sulla loro schiena. Uno ‘sfregio’ che a quanto pare, nel mondo motociclistico viene punito con molestie, ingiurie, violenza. Come è possibile che, dopo anni di battaglie per ottenere anche i più basilari diritti umani, si debba temere per la propria incolumità pur non avendo disturbato e fatto del male a nessuno? Eppure, le cose sembrano andare proprio così.

Il fatto che ha coinvolto Elia risale a un paio di anni fa. Erano i primi giorni del nuovo anno, mentre il ragazzo si trovava ad un motoraduno ad Aquileia, “Ero con i miei genitori ad una festa che ogni anno viene svolta per salutare il nuovo anno, in concomitanza al motoraduno – racconta Elia – mentre aspettavo mio padre, sono stato circondato da alcuni bikers che mi hanno minacciato, intimandomi di togliermi il gilet con la mia ‘toppa’, nel caso contrario, mi avrebbero ‘pestato’. Ho avvisato immediatamente mio padre ed altre persone che erano con me, abbiamo chiamato le forze dell’ordine e sporto denuncia“, continua il ragazzo. Il processo si è concluso un mese fa, condannando alcuni membri della ‘banda’ ad una multa più risarcimento per danni morali.

Non è andata meglio nemmeno a Massimo, 62 anni residente a Udine, presidente di un’associazione motociclistica formata da membri delle forze dell’ordine, ‘LeMc’. I fatti risalgono al 2017, alla festa di San Giuseppe di Percoto “Ero assieme ad un mio amico finanziere, siamo stati accerchiati da un gruppo che ci ha obbligati a togliere il nostro gilet, perché la nostra ‘patch’ non era di loro gradimento”, racconta Massimo, che ama definirsi un motociclista, anziché biker. “Erano in dodici, per fortuna non ci hanno aggredito fisicamente, ma ci siamo dovuti allontanare – prosegue Massimo – . Abbiamo poi denunciato l’accaduto alle forze dell’ordine, il processo si è concluso pochi giorni fa, con sentenza di condanna”.

E ancora, Roberto Zorzi, 43 anni di Romans d’Isonzo “Era il 12 luglio 2020, mi trovavo in un locale di Codroipo e sono stato minacciato da alcune persone, che, dopo aver allertato le forze dell’ordine, sono scappate”, spiega Roberto ” La settimana successiva, sempre a Codroipo, ero assieme ad altri membri del mio gruppo, quello dei ‘Mulinars’, eravamo in 8 ed indossavamo il gilet con le nostre ‘toppe’. Eravamo in periodo pandemico, quindi si poteva soggiornare all’estero del locale, ma quando mi sono alzato per recarmi in bagno, all’interno, sono stato seguito, aggredito e malmenato da quattro persone, ho subito una microfrattura del setto nasale – prosegue Roberto – . Abbiamo immediatamente chiamato le forze dell’ordine, ma loro sono fuggiti prima che arrivassero”.

Il processo è ancora in corso. Questi gruppi, o meglio, queste ‘bande’, non si fermerebbero nemmeno davanti al genere femminile. Cinque anni fa infatti M.P.N., 54 anni di Mortegliano, veniva ‘strattonata’ mentre si trovava alla sagra della ricotta di Talmassons assieme ad altre persone. La sua ‘colpa’ era, ancora una volta, indossare un gilet con la toppa che non era, secondo queste ‘regole’, non autorizzata. Una sorta di ‘nonnismo’, messo in atto dai gruppi che ‘controllerebbero’ le zone, rivendicandone il diritto di decidere chi può indossare un semplice gilet con una toppa e chi no e non solo alle manifestazioni dedicate, ma anche in contesti estranei al mondo del motociclismo, come locali pubblici, strade, festeggiamenti di paese.