Ramon Manganelli, come anche piccoli gesti d’amore (e lo sport) possono spazzare via anni di dipendenza

La storia di Ramon Manganelli.

Domenica 27 agosto, alle 20.30, in Piazza Falcone e Borsellino a Monfalcone si terrà la seconda edizione di “Dipende da me”, evento di sensibilizzazione sociale dedicato ai dipendenti e ai loro familiari. L’altro anno, oltre a vari ospiti di grande levatura come il dott. Luigi Gallimberti, c’è stata la toccante testimonianza di Gabriele Grosso, uscito dalle dipendenze grazie al suo husky e alla passione per lo sleddog (corsa con i cani da slitta). Quest’anno, a testimoniare, ci sarà Ramon Manganelli, classe ‘66 di San Giovanni al Natisone, uscito dalla dipendenza da droghe pesanti dopo oltre vent’anni.

Buongiorno Ramon, grazie per la tua disponibilità. Puoi raccontarci com’è iniziato il tuo interesse per il mondo delle droghe?

Avevo 14 anni quando ho iniziato ma, al contrario di molti altri, sono partito subito con la ‘roba’ pesante (eroina). Frequentavo gente un po’ più vecchia di me ed inizialmente non volevo provare ma una sera ho deciso di sniffarla anch’io con gli altri. Non so cosa mi abbia reso debole, forse semplicemente il fatto che quando ti trovi ad uscire con i ‘grandi’ ti senti come loro. Ci si trovava sempre più spesso. Lavorando, non avevo problemi di soldi, quindi paradossalmente non avevo problemi a continuare. Una notte, all’improvviso -me lo ricordo bene- ho iniziato a sudare, freddo e caldo, e da lì ho capito di essere un dipendente.

Ed è iniziato l’incubo..

Sì. Sono andato immediatamente a cercare della droga, anche se era notte inoltrata, e da lì è partito il calvario. Ho cominciato poi a rubare un po’ di soldi e anche l’oro che trovavo in casa (ricomprato tutto dopo che sono guarito). Ho perfino iniziato a spacciare fornendo i pusher della zona.

Come ha influito la droga sulla tua vita? Come mai è così difficile uscirne?

Non è facile uscirne perché la tua mente è indirizzata verso la sostanza e nient’altro. La dipendenza ti porta a continuare e non pensi neanche di smettere. Quando sei dentro, non ti rendi conto del valore affettivo dei familiari. Dopo un ricovero in ospedale, l’ultimo anno prima di entrare in comunità, avevo il fegato distrutto e avrei dovuto essere in coma epatico ma nonostante tutto ero in piedi e lì mi è apparso come un fugace bagliore “se continuo cosi muoio..” .

Poi comunque ho dovuto fare ancora un anno della stessa vita prima di rendermene conto totalmente. Dico sempre che ho avuto due fortune: non ho mai voluto usare siringhe dietro ad altri e ho sempre usato droga non tagliata male che quindi non ti manda fuori a livello mentale. Mi è inoltre sempre stato vicino un amico d’infanzia, che non ho mai voluto trascinare nel mio mondo. Conseguenze ce ne sono varie e per ciascuno più o meno gravi. Io, ad esempio una sera in cui avevo assunto LSD, incosciente di quello che facevo, ho preso il motorino e sono andato contromano sulla statale senza fanali. Una macchina non mi ha visto e mi ha preso sotto: tre giorni di coma e braccio semi paralizzato ancora oggi. Durante la tossicodipendenza, ho inoltre sofferto di depressione perché usavo anche anfetamina. E molti medici o farmacisti, se sei un dipendente, diciamo che non ti aiutano proprio a smettere, anzi…

Mi ha colpito particolarmente ciò che ti ha spinto a dire ‘basta’ una volta per tutte…

Dopo un anno dall’incidente, la mia fidanzata (nonché attuale moglie), sempre paziente e al mio fianco in qualsiasi situazione, mi ha proposto di andare in montagna un weekend. In quelle tre semplici giornate mi è scattato dentro qualcosa e ho iniziato a riconoscere l’affetto che provavo verso di lei. Credo di aver iniziato a riconoscere, piano piano, il valore che mi dava, come mi valorizzava. Allora, senza fare alcuna promessa, le ho detto spontaneamente che appena tornavamo dalle vacanze sarei andato a fare le analisi per poi magari iniziare un piccolo percorso.

Come ti sei mosso poi?

Ho avuto i primi contatti con don Davide, della provincia di Udine, e altri psicologi e assistenti sociali, per poi iniziare a scalare con il metadone per entrare in comunità. Lì sono rimasto due anni e tre mesi. I primi sei mesi non potevo vedere nessuno, ho iniziato a fare piccoli lavoretti con gli operatori e poi, ho iniziato a distaccarmi sotto il loro controllo, ovviamente, e a diventare più autonomo. Ho fatto anche 30 giorni di ritiro spirituale nell’isola di Barbana a Grado. Il mio carattere è cambiato radicalmente. In comunità eravamo in 14, siamo rimasti vivi in 3.

In che modo sei cambiato?

Sono cambiato in meglio perché ho deciso, con la mia forza di volontà, di dover fare qualcosa di positivo per altre persone. Sono uscito dalla comunità a 34 anni, ora ne ho 57 e non sono mai ricaduto. Alle volte si ricade perché riamane nella testa un minimo di idea inquinante che continua a farti credere che sia piacevole usare sostanze. Poi, però, da una sola dose che vorresti farti ne fai due, poi tre e torni a ricadere. Alle volte è difficile uscirne anche perché ti crei un giro di persone negative attorno e proprio per questo bisogna chiudere ogni contatto che fa parte di quel mondo.

Non volevo più che le persone soffrissero come ho sofferto io, per questo sono rimasto in contatto con la comunità, cercando di seguire ed aiutare i ragazzi del centro diurno anche perché so bene cosa vuol dire iniziare un nuovo percorso. Non è immediato, e appena usciti dalla comunità anche per me non è stato facile trovare subito lavoro. Dopo tante porte chiuse in faccia, mi sono reintegrato e ho iniziato a conoscere la mia attuale passione.

Lo sport?

Esatto. Grazie ad un mio parente sono entrato nel mondo della corsa, che effettuo tutt’ora per beneficenza con Telethon, ASLA, la 24ORE di Buttrio ecc. Ho cominciato con una mezza maratona a Palmanova, con l’obiettivo crescere di chilometraggio; ho continuato con una prima maratona di 42 km a Venezia e, da lì, prima i 100 km a Firenze mentre a Faenza ho iniziato a correre anche per 24 ore consecutive. La corsa più bella che ho fatto è stata “La corsa di Fabi”, nel 2017, in memoria di una mia amica, Fabiola, morta per un tumore. Con essa, ho potuto raccogliere fondi (20mila euro, ndr.) per la sua piccola di cinque anni, rimasta orfana. Così abbiamo fatto in modo che la banca le paghi gli studi e lo sport fino al suo diciottesimo anno di età. Una corsa emozionante, con il supporto del comune di Manzano e della Pro Loco, alla quale hanno partecipato oltre 1400 persone.

Come stai ora? Progetti?

Non vedo l’ora di andare in pensione! Tra i progetti vedo sempre la corsa, corro 4-5 volte a settimana.

Cosa vorresti dire, infine, a chi ancora non riesce ad uscire da una dipendenza anche se tenta di farlo? E a chi invece non si rende conto di averne e non vuole farsi aiutare?

Mio figlio, al quale ho aspettato di raccontare tutto a 17 anni, arrivato alla sua maturità, è rimasto molto fiero di me e considerava la mia esperienza una cosa preziosa, intima. Ma poi ha capito che, se la mia storia può servire anche a solo una persona su mille, allora va bene.

Consiglio a chi è fresco d’uscita dalle sostanze e dalla comunità di coltivare un hobby, come lo sport, che a me ha aiutato tantissimo. A chi non si rende conto di avere un problema è difficile parlare, in quanto le reazioni sono molto soggettive ed alcuni possono irrigidirsi se si parla di recupero quando non sono ancora pronti.

A chi non riesce ad uscirne, a chi sta tentando di farlo, ma anche a chi è riuscito a farcela, come esclamo ad ogni fine corsa che faccio, dico ‘Mai mola!’ ”.