Il Parkinson, anni di cure e una storia di amore tra due sorelle che abbraccia tutto il Friuli

La storia di Giuliana, malata di Parkinson, e di sua sorella Aurora.

Azzerare totalmente la propria vita, le proprie abitudini, il proprio equilibrio familiare. Resettare e ripartire da zero, facendo ruotare la propria esistenza in funzione delle esigenze del coniuge, del genitore, del fratello o della sorella colpiti da malattie croniche che ne impediscono l’autonomia.

Chi, per scelta, ma soprattutto per necessità, è costretto a diventare una sorta di ombra del familiare malato, assume un ruolo ancora oggi spesso sconosciuto, sottovutato, troppo spesso addirittura invisibile agli occhi di questa società. Si parla della figura del Caregiver. Il termine etimologico, ma che si riversa anche nel lato pratico, significa letteralmente dare ( give) cura (care). Prestare assistenza a 360 gradi ad un familiare, comporta a sacrifici, rinunce, compromessi con la propria famiglia.

Lo sa molto bene Aurora, che sette anni fa ha dovuto lasciare il suo lavoro di restauratrice di affreschi, per dedicarsi completamente alla sorella, malata di Parkinson da ben quindici anni. Aurora ha 58 anni, abita a Ruda, assieme al marito Vladimiro, perito informatico di un anno più giovane e alla loro figlia Giulia, perito chimico presso il laboratorio di una nota azienda, di 22 anni. Quindici anni fa, Giuliana, la sorella maggiore di Aurora, si ammala di Parkinson, una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che va ad intaccare il controllo dei movimenti e l’equilibrio di chi ne viene colpito. Giuliana oggi ha 67 anni, vive a Cervignano nella casa in cui è cresciuta fin da piccola, perché questa malattia estremamente destabilizzante, le ha lasciato ampia capacità di intendere e di volere.

Non è bastato di certo l’ausilio di un’assistente familiare a tempo pieno, per permettere alla sorella Aurora di poter continuare a svolgere la vita di sempre. L’angoscia, la paura che da un momento all’altro possa succedere qualcosa, l’essere l’unico punto di riferimento per qualsiasi contrattempo possa accadere, la burocrazia, le spese, l’assistenza psicologica nei momenti più bui e destabilizzanti. Tutto questo è a carico solo ed esclusivamente di Aurora. “Questa settimana se ne andrà via la signora che prestava assistenza a mia sorella. Con questa, siamo a quota dieci. Dieci persone che, dopo i primi mesi, non reggono il carico fisico ma soprattutto lo stress che comporta il dover badare ad una persona con questi problemi”, racconta Aurora.

“Spesso, oltre alle ordinarie mansioni che svolgo in funzione di mia sorella, sono dovuta intervenire, perché chi le prestava assistenza non era in grado di far fronte a diverse problematiche che si innescano di conseguenza. Dai problemi depressivi, a quelli legati alla rapida degenerazione della malattia”, continua. Negli ultimi due anni, infatti, Giuliana è peggiorata notevolmente. Nove ingressi al pronto soccorso nell’arco di dodici mesi. Una situazione insostenibile. Aurora si rivolge agli organi competenti della zona, spiega la situazione, ed inaspettatamente, nel giro di pochi giorni, riceve assistenza.

Si arriva una rete che dà vita ad un progetto, che coinvolge sia gli assistenti sociali, che il medico di famiglia. La regione stanzia un contributo che spetta ai portatori della legge 104 (ovvero nei casi di grave disabilità), erogato a seconda del reddito della persona malata. “Avevo timore, quasi una sorta di vergogna nel chiedere aiuto. Quando poi mi sono resa conto che da sola non sarei potuta andare avanti, mi sono rivolta alle figure professionali di competenza, ed ho ricevuto subito aiuto”, prosegue Aurora.

Spesso, infatti, il timore del giudizio rende schiave le persone di una situazione senza via d’uscita. “Senza l’aiuto di figure professionali, a lungo andare si rischia di ammalare anche se stessi. Da tempo io convivo con una forma di artrite reumatoide, chiamata psoriasica, una malattia autoimmune che peggiora in situazioni di forte stress”, confida la donna. “È frustrante non aver più la possibilità di svolgere il mio lavoro, che era fonte di soddisfazione e soprattutto di guadagno. Ora, devo dipendere da mio marito, ma mi ritengo comunque molto fortunata, perché è una persona comprensiva e non mi fa pesare questa situazione”.

Da anni le abitudini e lo stile di vita di Aurora e della sua famiglia sono cambiati, niente più tempo libero da dedicare agli hobby, niente più ferie, bandite anche le gite fuori porta. Reperibile e disponibile a tempo pieno, come tutti i Caregiver, vittime, anche se in maniera diversa, delle infauste malattie che colpiscono i loro amati familiari.