Il concerto di Robbie Williams a Trieste.
Un concerto che più che un’esibizione è stato un abbraccio, un viaggio, una lettera d’amore all’intrattenimento. Così Robbie Williams ha conquistato Trieste, regalando a oltre 28mila spettatori una serata che resterà nella memoria collettiva della città. Due ore abbondanti di musica, emozioni e confidenze, in uno Stadio Rocco gremito e trasformato in un gigantesco palcoscenico dell’anima.
Con un allestimento scenico imponente – oltre 60 metri di palco, tre piattaforme e scenografie spettacolari – il cantautore britannico è entrato in scena calato da una piattaforma vestito da astronauta, dentro una “gabbia” di microfoni, sulle note di Rocket. Un inizio teatrale e suggestivo, che ha subito dato il tono di uno show pensato nei minimi dettagli.
La scaletta è un crescendo: Let Me Entertain You, Feel, Come Undone, ma anche cori da stadio come Seven Nation Army, intonati all’unisono da un pubblico caldissimo. Williams non si limita a cantare: parla, si racconta, interagisce. Il cuore del concerto, però, è fatto anche di fragilità e intimità. Parla del suo passato, dialoga idealmente con il giovane Robbie che entra nei Take That, racconta dei suoi quattro figli – le loro immagini scorrono sui maxischermi – che, dice, “mi hanno salvato la vita”. Parla anche della madre malata, che non lo riconosce più, e del padre, colpito dal Parkinson. È un Robbie Williams autentico, che non ha paura di mostrarsi vulnerabile, tra una battuta e un applauso.
Ma c’è spazio anche per il gioco, per l’improvvisazione: sceglie una spettatrice a caso, le dedica She’s the One facendola commuovere fino alle lacrime. E poi ancora risate, come quando provoca il pubblico a cantare al posto suo e conclude: “I am very famous in Italy!”, tra le risate generali. La chiusura è da brividi: torna sulla piattaforma da cui era sceso come astronauta, ma stavolta risale come un angelo, sulle note di Angels. Una vera e propria buonanotte cantata, una carezza finale a una città che ha risposto con affetto travolgente.