La montagna si ribella a un inverno senza sci in Fvg: “Così finiamo in ginocchio”

Timori e preoccupazioni per il Natale senza sci in Fvg.

Rabbia e preoccupazioni. Sono i sentimenti che aleggiano sulla montagna del Friuli dopo la paventata possibilità di un Natale senza sci, con la stretta del governo sulle vacanze sulla neve, viste come possibile veicolo di contagio. E nonostante sia stato messo a punto dalle Regioni un protocollo per sciare in sicurezza, l’incertezza che pende come una spada di Damocle non fa dormire sonni tranquilli.

Già, perché il periodo natalizio equivale al 30% del fatturato annuale nelle zone montane, dove la filiera turistica ha mille sfaccettature. Quella dei maestri di sci, per esempio. Molti di loro svolgono questa professione praticamente in esclusiva nei mesi invernali e quindi non avrebbero alcun guadagno per un lungo periodo. “La chiusura sotto le Feste sarebbe un bagno di sangue. E il mancato incasso non sarebbe recuperabile nel resto della stagione”: è lapidario Daniele Sabidussi, direttore della Scuola di sci di Tarvisio, che opera da mezzo secolo e ha in organico 50 maestri. “Siamo una categoria dimenticata e senza alcuna assistenza – prosegue -: se l’operaio di una fabbrica può contare sulla cassa integrazione, noi non abbiamo ammortizzatori sociali. Non siamo nemmeno inclusi nel sistema dei codici Ateco”. A Tarvisio c’è anche un’altra scuola sci, per un totale di 70 maestri. “Circa la metà di noi – conclude Sabidussi – è lavoratore stagionale e in inverno pratica soltanto questa attività: come faremo a sostentarci? Per noi sarebbe un dramma”.

Maurizio Amoroso, già titolare di una pizzeria in centro a Tarvisio, da luglio ha in gestione da Promoturismo Fvg anche lo Schuss Bar, ai piedi della pista Di Prampero. Ha voluto investire per crescere, con molti progetti, ma la seconda ondata di Covid e l’ipotesi di un Natale senza sci lo stanno frenando: “Avevo in programma di arruolare 3 persone per lo Schuss, ma vista la situazione non potrò assumere nessuno. Se già il ponte dell’Immacolata è saltato, speravamo almeno di aprire per le feste natalizie. Sono preoccupato e arrabbiato”. Austria e Slovenia potrebbero invece dare il via alla stagione invernale il 19 dicembre: “Sarebbe una beffa e, da quanto so, l’Italia potrebbe decidere anche di chiudere i confini, con un danno doppio per tutti noi. È una situazione allucinante. Siamo abbattuti e mortificati”, conclude.

Thomas Veritti è imprenditore e consigliere della Rete d’impresa “Forni di Sopra – Dolomiti in tutti i sensi”, che raggruppa oltre 60 partite Iva locali. Ma è anche maestro di sci e le dinamiche dell’inverno le conosce bene. “Immaginavamo potessero arrivare delle limitazioni, ma addirittura uno stop nel periodo natalizio è qualcosa di inaspettato – analizza -. Sarà da capire se il discorso del governo sarà incentrato soltanto sulle piste da sci, oppure anche sulla mobilità fra regioni. Fatto sta che per la nostra economia, la serrata sarebbe comunque una mazzata”. Già, perché nella località dolomitica praticamente ogni nucleo familiare ha qualcuno che, in modo diretto o indiretto, lavora nel turismo, dagli impianti agli hotel, fino a tutte le sfumature correlate. “Chiudere sarebbe una catastrofe – è categorico Veritti -. Già nel primo lockdown di primavera abbiamo perso il turismo organizzato, quello dei gruppi e delle scuole. Ma in quel caso la marginalità è ridotta. Tenere gli impianti fermi a Natale sarebbe un danno. E poi – conclude – con una chiusura fino al 10 gennaio, chi se la sentirebbe di dare il via a una stagione che parte già con un -60% come fardello?”.

Tante preoccupazioni anche per gli albergatori Fvg. “Tanti sono sul piede di guerra, mi devo adoperare per calmarli – allarga le braccia Paola Schneider, presidente di Federalberghi Fvg -. C’è un certo fermento per una possibile ingiustizia: Austria e Slovenia, per fare due esempi, hanno detto che intendono tenerli aperti e dal punto di vista dell’emergenza Covid stanno peggio di noi. Quindi, o tutti o nessuno”. Se, anche per Schneider, la tutela della salute viene comunque al primo posto, i protocolli consentirebbero di operare nella massima sicurezza.

Non aprire a Natale sarebbe una botta incredibile – aggiunge la presidente -. Se ci fosse la certezza di ricevere ristori, e in tempi ragionevoli, potremmo farcene una ragione. Altrimenti rischiamo tutti di fallire, nessuno escluso”. Il periodo natalizio e quello delle settimane bianche offrono circa il 50% del fatturato annuo e ci sono zone come lo Zoncolan, Sappada e Forni di Sopra, prettamente vocate per i mesi invernali. “Auspichiamo di sapere qualcosa di certo il 3 dicembre, quando arriverà il prossimo Dpcm – conclude Schneider – perché forse molti non si rendono conto che riaprire un hotel richiede almeno 10 giorni di lavoro tra ordini, manutenzioni e assunzioni”. La montagna è in allerta. E la tensione sale.