Lavoro in Friuli Venezia Giulia: inizio anno nel segno dell’incertezza

Le preoccupazioni della Cgil Friuli Venezia Giulia sul fronte del lavoro.

L’aumento del costo della vita che grava su lavoratori e pensionati, a causa del caro spesa e del caro energia, la cassa integrazione che torna a salire, le incognite che si addensano sul futuro dei principali comparti del manifatturiero regionale.

È un inizio d’anno difficile, quello che si prospetta per lavoratori e imprese della regione, e ad aggravare il quadro, per la Cgil Friuli Venezia Giulia, ci sono anche i contenuti di una manovra finanziaria che, nell’analisi del segretario generale Villiam Pezzetta, “toglie a lavoratori dipendenti e pensionati molto più di quanto dia“. Questo il succo dell’analisi tracciata dal segretario in occasione della conferenza stampa d’inizio anno, tenutasi questa mattina nella sede della Cgil provinciale di Udine.

Inversione di tendenza.

“Se da un lato – ha detto Pezzetta – i dati parlano ancora di una tenuta del mercato del lavoro, si aggravano i fattori critici che hanno condizionato il 2021, e in particolare il secondo semestre, dopo l’inizio della guerra in Ucraina”.

Sul fronte del lavoro, il dato medio registrato nei primi nove mesi dell’anno, in base ai dati Istat, è di oltre 523mila occupati, in crescita rispetto ai 510 mila dell’intero 2021, “ma il terzo trimestre – ha sottolineato il segretario – si è chiuso con una flessione di 21mila posti rispetto al secondo e, per la prima volta nel corso del 2022, con un dato più basso (516mila occupati contro 518mila, ndr) rispetto a quello registrato nel corrispondente periodo del 2021″. È il segnale di un’inversione di tendenza che, nella percezione della Cgil, “si è accentuata nel corso del quarto trimestre“.

A caratterizzare il mercato del lavoro, per la Cgil, anche una forte componente di precarietà e una preoccupante crescita degli infortuni, in aumento dell’8% rispetto al 2021 (i dati gennaio-novembre, ancora non consolidati, parlano invece di una netta riduzione dei casi mortali).

La Cig torna a correre.

A confermare l’aggravarsi dello scenario la ripresa della Cig, che a novembre, per il quinto mese di fila, ha superato il milione di ore mensili autorizzate, cosa che nel primo semestre del 2022 era accaduta soltanto a febbraio. “A partire da luglio – ha detto Pezzetta – l’Inps ha accolto richieste per un valore medio di quasi 1,2 milioni di ore mensili, contro una media di poco più di 800mila nel primo semestre”. Il dato di chiusura a fine 2022, secondo le stime della Cgil sarà di circa 14 milioni di ore tra Cig e Fondi d’integrazione, in forte calo rispetto ai valori irraggiungibili toccati nel biennio 2020-2021 (rispettivamente 94 e 50  milioni di ore) a causa della pandemia, ma sintomo delle criticità con cui devono fare i conti un po’ tutti i comparti, ma in particolare quelli più energivori e più condizionati dalle difficoltà delle catene di fornitura.

Le aree di crisi

La situazione più critica, in ambito manifatturiero, è quella dell’area triestina, a causa delle tante crisi aperte o già arrivate all’epilogo, da Wartsila a Flextronics e Principe. Sempre nell’area giuliana, anche la Burgo deve fare i conti con la difficile congiuntura che caratterizza tutta la filiera della grafica, dall’industria della carta alle tipografie, uno dei comparti che hanno fatto segnare, negli ultimi mesi del 2022, un elevato ricorso agli stop produttivi e agli ammortizzatori, legato sia al caro energia che al calo degli ordinativi.

Molto esposti al fattore energia anche il settore siderurgico, quello del legno, in particolare i pannelli, ampie aree della meccanica, che paga anche, in primis nell’area pordenonese, con la sua forte vocazione alla componentistica, la crisi del mercato automotive. Altro fattore di difficoltà l’esaurimento dell’effetto superbonus e i tanti nodi nella gestione del 110%, con i loro contraccolpi sull’edilizia, uno dei comparti trainanti della ripresa post-lockdown.  “Ma tutti i comparti – sintetizza Pezzetta – devono fare i conti con le incertezze di uno scenario volatile, con  una visibilità estremamente limitata”.

Finanziaria bocciata.

Gli effetti del caro energia preoccupano anche sul fronte lavoro. “Gli aumenti record delle bollette, dei carburanti e della spesa – spiega Pezzetta – si sono mangiati almeno il 15% del reddito di lavoratori e pensionati, quasi due mensilità. Di fronte a tutto questo, abbiamo una Finanziaria che si limita ad aumentare di un punto, dal 2 al 3% e solo fino ai 25mila euro di reddito, il primo taglio del cuneo fiscale disposto dal Governo Draghi. I 4 milioni di lavoratori con reddito fino a 8mila euro non avranno alcun beneficio, per gli altri i benefici in busta paga connessi al punto ulteriore di taglio in andranno da pochi euro a 160 euro all’anno. Siamo di fronte a una manovra che dà pochissimo ai redditi bassi e medio bassi, non stanzia neppure un euro in più per far fronte al caro energia e reintroduce le accise piene sul carburante, contro le quali la premier tuonava quando era all’opposizione”.

“Il piatto piange anche sul fronte pensioni – continua Pezzetta – a causa del taglio della rivalutazione degli assegni e del venir meno di qualsiasi ipotesi di revisione della Fornero: le tante promesse elettorali hanno partorito soltanto il topolino di quota 103 e il ridimensionamento di opzione donna. Si sono trovate risorse per estendere a 85mila euro la flat tax, si è tornato a puntare sui condoni, non si è investito abbastanza sulla scuola e sulla sanità, dove restano aperte, anche in regione, le piaghe della carenza di personale, delle liste di attesa e si aggrava la mancanza di medici di base”.

Da qui, per Pezzetta, l’esigenza di insistere sulla strada della mobilitazione: “Lo sciopero generale del 16 dicembre – ha concluso il segretario – è stato solo il primo passo: ce ne saranno altri, nell’auspicio di poter coinvolgere anche chi, a livello nazionale o soltanto a livello locale, ha scelto per il momento altre strategie“.