Parla il fratello di Roberta Budai, fatta a pezzi e gettata in una discarica vent’anni fa: “Ferita ancora sanguinante”

Ventidue anni fa al posto di di Giulia Cecchettin, la ragazza ventiduenne di Vigonovo uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, c’era Roberta Budai. Roberta, all’epoca dei fatti, aveva 31 anni, viveva a Fauglis di Gonars, ed era legata sentimentalmente da una relazione burrascosa e clandestina con il sottufficiale abruzzese Felice Di Menna, trentottenne, che ai tempi prestava servizio presso la “Genova Cavalleria” di Palmanova.

Una storia tormentata, sfociata nel peggiore dei modi: Di Menna infatti, dopo aver appreso dell’intenzione di Roberta nel portare a termine quella gravidanza tanta desiderata da lei, quanto ingombrante per lui, uccise sia la donna, sia il figlio che portava in grembo e che sarebbe nato di li a poco. La tragedia si consumò quel maledetto 8 gennaio del 2001, dietro a quello che ai tempi era il Mercatone Uno di Palmanova. Felice Di Menna uccise a fucilate la povera Roberta e ne gettò il corpo nei cassonetti. Corpo che fu poi ritrovato a pezzi, diversi giorni dopo, nella discarica di Firmano. Quella tragedia gettò in un baratro senza via d’uscita sia la famiglia Budai, sia l’intera comunità.

Un baratro dentro al quale ancora oggi Nicola Budai, fratello di Roberta, è intrappolato, a causa di una serie di quelle che hanno tutta l’aria di apparire come delle enormi ingiustizie. “Dopo ventidue anni, l’assassino di mia sorella è in libertà e noi non solo abbiamo perso un membro della nostra famiglia, ma non abbiamo visto un solo euro della somma che il tribunale di Udine aveva disposto” esordisce il fratello. Di Menna infatti, dopo soli dodici anni di carcere e tre anni di misura cautelare disposta con l’obbligo di firma, è risultato essere un uomo libero. Non solo. Dei seicentomila euro di risarcimento, la famiglia Budai non ha visto nemmeno l’ombra, in quanto l’ex sottufficiale si dichiarò nullatenente.

“Oltre al danno, la beffa – commenta Budai- la ferita, nonostante siano passati due decenni, è ancora aperta e sanguinante, non solo dopo i recenti casi di cronaca, ma anche ogni volta che si apprende di un nuovo caso di femminicidio, mi si raggela in sangue e la mia mente ripiomba nello sconforto piu’ totale”. Ancora tanti, troppi i femminicidi infatti che interessano il nostro territorio e che vanno espandendosi a macchia d’olio in tutto il Paese. “Non riesco a comprendere come sia possibile che l’essere umano possa arrivare ad un gesto simile, come fanno certi uomini, se cosi li possiamo chiamare, a non farsene una ragione quando una storia volge al termine – prosegue Nicola- come si fa a non capire che questo tipo di azioni non portano da nessuna parte, ma che, al contrario, distruggono intere famiglie, come la nostra e come tante altre”. E ancora “Se avete anche solo il minimo sentore che la relazione stia prendendo una brutta piega, se non vi sentite al sicuro, vi prego, allontanatevi immediatamente”.

Oggi, oltre al fratello Nicola che all’epoca dei fatti aveva ventisei anni, è ancora in vita la mamma di Roberta, Silva, che, a settantacinque anni suonati, trascina a fatica la sua esistenza dopo essersi vista strappare via la figlia con una ferocia inaudita. “Mia madre non è a conoscenza di molti dettagli raccapriccianti di questa orribile vicenda, per lei sarebbe stato davvero troppo”, spiega Nicola. “Ho un nodo alla gola talmente grande che mai potrà andare giù, mi sono dovuto far carico di tutto il peso da solo per anni, nonostante la comunità mi sia stata vicina, purtroppo c’è da dire che queste cose, dopo un po’, cadono nel dimenticatoio” precisa Budai.

“Probabilmente, se le pene fossero molto più aspre, se la legge prevedesse delle punizioni con uno schema decisamente più rigido e se chi sbaglia fosse costretto a svolgere delle attività utili alla collettività per un tempo molto più lungo, forse, e dico forse, questo tipo di reati si verificherebbero con minore frequenza” continua il fratello. L’anno scorso, a Gonars, una panchina rossa, simbolo della lotta alla violenza sulle donne, è stata posizionata in paese. “I gesti simbolici certamente fanno piacere, però credo sarebbe più utile avere maggiore costanza nel ricordare le vittime di femminicidi, magari fare delle manifestazioni a cadenza settimanale o mensile, di modo che l’attenzione possa sempre restare alta e che non si rischi di cadere, come spesso accade, nel dimenticatoio”, asserisce Nicola, che conclude con un importante appello “La vita è un dono prezioso, offre tantissime cose belle, nonostante ci siano per tutti periodi negativi, dovete trovare sempre la forza di andare avanti e ricordatevi che compiere gesti cosi estremi non serve assolutamente a nulla, se non a rovinare per sempre intere famiglie”.