Il Fvg fanalino di coda della ripresa, l’allarme dal rapporto sulle Pmi: 28mila posti di lavoro a rischio

A fine 2021 si stima vengano persi in Fvg 28 mila posti di lavoro.

Le Pmi del Friuli Venezia Giulia, a differenza del Nordest, faticano a riprendersi dalla crisi dovuto all’emergenza sanitaria. Lo certifica il Rapporto Regionale Pmi 2021, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, che fotografa comunque la grande presenza delle picco e medie imprese nella nostra regione, oltre 3.300, secondo la definizione europea, ovvero tra 10 e 249 addetti e un giro d’affari  tra 2 e 50 milioni di euro.

Se nell’ultimo anno di crescita, il 2019, il loro numero in Fvg è rimasto stabile, la nostra regione non ha ancora recuperato la loro presenza prima della crisi del 2007 (-4,3% unità), contrariamente a quanto è avvenuto a livello italiano (+6,6%) e a NordEst (+5,4%).

A fine 2021 si stima vegano persi 28 mila posti di lavoro.

In base alle stime, i posti di lavoro nel sistema privato che potrebbero essere persi al termine del 2021 in Fvg afferenti alle Pmi ammontano a oltre 28 mila addetti, ovvero l’8% del totale pre-emergenza (quasi 360mila). Un dato percentuale in linea con il tessuto italiano. Inoltre le Pmi subiranno una perdita di capitale 2021/2019 che il rapporto stima in quasi 1 miliardo di euro (-4,6%).

“È improcrastinabile – commenta Gianluca Pinna, presidente del Comitato regionale piccola industria del Fvg – creare le condizioni per sviluppare nel Paese e attrarre dall’esterno risorse in grado di permettere al nostro sistema manifatturiero, e in particolare delle Pmi, di crescere dimensionalmente e di assicurare una crescita progressiva. In questo senso la diminuzione del prelievo fiscale sulle imprese libererebbe risorse finanziarie per investimenti e nuova occupazione. In Italia, infatti, il 44% degli addetti è occupato in micro imprese, contro il 19% in Germania. Viceversa, in Italia il 13% è impiegato in medie imprese contro il 20 in Germania”.

La crisi mostrerà effetti asimmetrici in base ai settori delle Pmi.

In generale, le Pmi hanno affrontato l’emergenza sanitaria dopo un decennio caratterizzato da una ripresa lenta e incompiuta, che ha consentito di recuperare soltanto parzialmente i livelli dei conti economici pre-crisi 2007. Ma è altrettanto vero che il miglioramento 20017-2019 degli indici di sostenibilità finanziaria ha reso il nostro sistema economico meno vulnerabile rispetto alle due crisi precedenti.

La crisi ovviamente mostrerà effetti asimmetrici in base ai settori in cui operano le Pmi, impattando maggiormente sulle attività che sono state più esposte al lockdown e sentono anche in questi mesi l’impatto delle restrizioni ancora vigenti.

“Nell’immediato, come già più volte affermato da Confindustria – prosegue Pinna –, è necessario proseguire con politiche di sostegno della liquidità al fine di favorire la crescita dimensionale delle imprese e il riequilibrio della loro struttura finanziaria. Nel 2020, la diminuzione della liquidità aziendale, causata dal crollo dei fatturati, ha influito sulla scelta di richiedere prestiti bancari assistiti anche da garanzie pubbliche. Ricordiamo che l’indebitamento nel 2019, per la crescita dei mercati, era sostenibile”.