L’ultimo atto di Martina Oppelli prima di morire: denunciata per tortura l’azienda sanitaria

L’ultimo atto di Martina Oppelli prima di morire.

Prima di partire per la Svizzera e accedere al suicidio medicalmente assistito, Martina Oppelli ha deciso di compiere un ultimo atto di accusa contro lo Stato italiano. La 49enne triestina, affetta da una patologia irreversibile e degenerativa, ha presentato una denuncia-querela per “tortura” e “rifiuto di atti d’ufficio” nei confronti dell’ASUGI, l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina, che per tre volte le ha negato l’accesso alla procedura prevista dalla sentenza costituzionale 242/2019.

L’annuncio è stato dato questa mattina in una conferenza stampa a Trieste da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e rappresentante legale di Soccorso Civile, l’organizzazione che accompagna chi decide di porre fine alla propria vita in modo consapevole, in assenza di una legge italiana che lo consenta.

A depositare formalmente l’esposto è stata l’avvocata Filomena Gallo, procuratrice speciale di Oppelli e segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni. Al fianco di Cappato, oggi, c’erano anche Claudio Stellari, Matteo D’Angelo e Felicetta Maltese, che hanno accompagnato Martina nel suo ultimo viaggio, fornendo a vario titolo assistenza logistica, economica e morale.

Le accuse all’Azienda Sanitaria.

In primo luogo ha accusato l’ASUGI e i medici della commissione di aver rifiutato di svolgere atti dovuti per legge. L’azienda sanitaria le aveva, in passato, negato la rivalutazione delle sue condizioni di salute, sostenendo – – riporta l’Associazione Coscioni -, che un nuovo esame sarebbe stato un costo inutile per la pubblica amministrazione. Martina Oppelli aveva dovuto presentare un ricorso d’urgenza nel 2024 presso il tribunale di Trieste che aveva ordinato all’azienda sanitaria nuove verifiche.

Inoltre, “non le è stato riconosciuto, per oltre due anni, il requisito della “dipendenza da trattamento di sostegno vitale” (uno dei quattro requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale “Cappato-Antoniani” per poter accedere legalmente in Italia al suicidio assistito) – continua l’associazione -, nonostante dipendesse totalmente non solo dai suoi caregiver per sopravvivere ma anche dalla macchina della tosse e nelle ultime settimane dal catetere vescicale, disapplicando in tal modo il giudicato costituzionale”.

Secondo Oppelli, inoltre “L’azienda sanitaria, non solo le ha negato un diritto, ma l’ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici. Così ha denunciato di essere stata vittima di un trattamento inumano e degradante da parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, costringendola a vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto reiterato e immotivato dell’ASUGI di riconoscerle l’accesso legale alla morte assistita”.

Cappato: “Martina denuncia lo Stato. Noi continueremo la disobbedienza civile”

“Seguendo le volontà di Martina – ha detto Marco Cappato -, abbiamo agito pubblicamente assumendoci le responsabilità per l’aiuto a lei fornito. Questa volta però, con Claudio Stellari, Matteo D’Angelo e Felicetta Maltese, abbiamo deciso di non recarci dalle forze dell’ordine per autodenunciarci, perché la denuncia c’è già, ed è la denuncia di Martina contro uno Stato che l’ha costretta a subire una vera e propria tortura, contro un Servizio sanitario di Regione Friuli Venezia Giulia che non ha fatto il proprio dovere. Siamo comunque a disposizione di eventuali indagini per fornire tutte le informazioni sull’aiuto prestato a Martina”.

Il caso di Martina Oppelli si inserisce in un vuoto normativo che ormai, da anni, viene denunciato da associazioni, giuristi e malati. La sentenza della Corte costituzionale ha aperto una strada per il suicidio assistito in Italia, ma l’assenza di una legge rende l’accesso estremamente incerto. “Proseguiremo – ha concluso Cappato – a chiedere che venga discussa in Parlamento la legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale. Martina ha fatto la sua parte. Ora tocca alle istituzioni fare la loro”.