Ennesimo femminicidio in Fvg, cosa scatta nella mente assassina

Ennesimo caso di femminicidio in questi giorni in Fvg

Nadia Orlando, Michela Baldo, Lisa Puzzoli, Carmela Cirillo, Romina Ponzalli e da ultima Elisabetta Molaro, uccisa a coltellate dal marito ieri. Sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise in questi ultimi anni da compagni o mariti.

L’Fvg piomba nuovamente nella paura, dopo l’ennesimo caso di femminicidio registrato in questi giorni. Diversamente da quanto si potrebbe pensare, come sottolineato all’interno del portare Stop Femminicidio, il Nord Italia detiene la percentuale più alta di femminicidi (commessi soprattutto tra il 2005 e il 2016), ben il 48%, contro il meridione ed il centro che assieme contano il 52%. Una percentuale quella del Nord che è inevitabilmente aumentata durante questi due anni di pandemia dove molte donne sono state costrette a vivere confinate in casa con i propri aguzzini ed il più delle volte hanno perso la vita.

Le percentuali riguardo i carnefici

Nel 62% dei casi l’aguzzino è un un ex fidanzato, marito o convivente; il 18% delle volte invece si tratta di un familiare di tipo stretto o acquisito; l’8% riguarda invece un conoscente ed invece nell’1% un estraneo. La maggior parte dei femminicidi, come detto prima, avviene quindi in contesto familiare.

L’assassino nel migliore dei casi è stato arrestato solo nel 51% dei femminicidi, nel 31% si è suicidato prima o dopo l’arresto, nel 13% invece la sua identità è rimasta ignota, mentre nel 5% si è dato alla fuga e non è mai stato ritrovato.

Cosa scatta nella mente degli assassini

Il femminicidio, che si discosta dall’omicidio in quanto riguarda l’uccisione di una donna o bambina da parte di un uomo, compagno o marito, nasce da un contesto patriarcale di sottomissione che da molti anni è stato abbandonato. La donna, infatti, è diventata sempre più indipendente sia economicamente che sentimentalmente e questo alle volte è visto come un pericolo dai propri compagni o mariti.

Secondo alcuni studi psicologici sul tema, sono stati individuati alcuni profili psicologici che hanno individuato quattro tipologie: l’uomo controllatore – ovvero quello riscontrato nella maggior parte dei casi- che teme di perdere la propria autorità sulla moglie/compagna soprattutto in caso della fine di una relazione o del matrimonio; il difensore che non concepisce l’autonomia della donna, vista come abbandono, e quindi sceglie donne in condizione di dipendenza; colui che è in cerca di approvazione sistematica per confermare la propria autostima e se non la riceve si rivela aggressivo e l’incorporatore ovvero colui che tende a ricercare un rapporto totale e fusione con il proprio partner dove la perdita dell’amore è vista come una catastrofe.

Le non denunce

Nonostante i casi di femminicidio siano i costante aumento si è osservato come le donne siano restie a denunciare eventuali abusi, il più delle volte perché minacciate; ma soprattutto il motivo che prevale è il  mantenimento della credenza che vi sia mancanza di alternative, soprattutto di carattere economico, che gli abusanti sfruttano a loro vantaggio.

L’unico modo per cercare di contrastare questo pericoloso fenomeno è quello di cambiare totalmente strategia, cominciando a sensibilizzare le giovani generazioni sulla tematica – non solo nella ricorrenza del 25 novembre – e dare maggior sostegno alle donne garantendo un servizio di vigilanza almeno nelle situazioni visibili. Negli altri casi rivolgersi sempre ai centri antiviolenza e segnalare in forma anonima, oppure contattando direttamente il 112.