Il governo Draghi alla sfida della digitalizzazione

Con i giusti investimenti, il PIL italiano potrebbe crescere del 12%.

Un incremento di ben 12 punti percentuali del PIL italiano: tanto ci si dovrebbe aspettare, secondo uno studio di Deloitte commissionato da Vodafone, dalla messa in atto del processo di digitalizzazione del Paese. L’indagine portata avanti dalla celebre società di consulenza multinazionale ha al proprio centro l’analisi del cosiddetto DESI, il Digital Economy and Society Index: un indice europeo che racchiude connettività, capitale umano, uso dei servizi Internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali, con l’obiettivo di fotografare lo stato di avanzamento della digitalizzazione dei paesi membri dell’Unione.

Un indice che restituisce l’involuzione del panorama italiano rispetto al contesto Europeo per quanto riguarda questo importante asset: l’Italia, infatti, figura al venticinquesimo posto sulle ventotto posizioni della classifica. Il punteggio italiano è di 41,6 punti su una media europea di 52,6, pur con evidenti differenze nei vari indicatori – bollino rosso, in particolare, per l’utilizzo dei servizi internet, per il settore della pubblica amministrazione, e per la diffusione della cultura digitale.

Accogliendo le istanze europee già nel suo discorso di insediamento al Senato, il neo premier Mario Draghi ha quindi fin da subito incluso il tema della digitalizzazione italiana come elemento strategico della sua agenda di governo. Draghi ha citato in particolare l’intenzione di dotare il Paese di importanti strumenti tecnologici come le reti di comunicazione 5G, la banda larga e il cloud computing.

L’anno appena trascorso, in ogni caso, è stato contraddistinto da un’accelerazione nel processo di digitalizzazione: l’emergere della crisi pandemica, infatti, ha portato con sé investimenti importanti in innovazioni tecnologiche indispensabili che hanno contribuito a mitigare il brusco rallentamento delle attività produttive e amministrative, facendo balzare le stime sul DESI italiano per l’annualità appena trascorsa di ben sei posizioni. Un dato positivo, ma che va considerato solo un inizio: per una reale capitalizzazione dell’auspicata rivoluzione digitale, l’Italia dovrebbe puntare a raggiungere un punteggio di 90 punti entro il 2027. Un enorme sforzo che, come afferma Deloitte, potrebbe portare con sé una crescita davvero significativa specialmente per le economie meno efficienti del contesto europeo in virtù dell’esponenzialità del rapporto tra investimenti e crescita del PIL.

D’altronde, se la pandemia ha imposto ai cittadini italiani un utilizzo più diffuso di strumenti di comunicazione digitale e di accesso ai servizi della pubblica amministrazione, il punto debole del sistema Italia resta quello dell’alfabetizzazione digitale, in particolare per quanto riguarda la formazione professionale. L’Italia infatti figura addirittura ultima in classifica nelle sottocategorie DESI dedicate alla misurazione delle competenze nell’utilizzo di internet (Internet User Skills Index) e delle competenze tecnologiche avanzate (Advanced Skills and Development Index). Il primo indice riguarda il numero e la complessità delle attività svolte attraverso l’utilizzo di strumenti digitali e di internet, mentre il secondo raggruppa una serie di indicatori che riguardano nello specifico i professionisti e i laureati nel settore dell’ICT (Information and Communication Technology). Investire strategicamente nel campo dell’educazione tecnologica avanzata, quindi, potrebbe portare molto efficacemente e velocemente alla crescita del DESI italiano.

Mario Draghi ha già dichiarato il proprio impegno a investire in infrastrutture digitali. Un gesto importante, che però non dovrebbe rimanere un’iniziativa isolata: senza, infatti, un impegno parallelo e concreto dedicato all’alfabetizzazione tecnologica della popolazione a tutti i livelli, il rischio è quello di fallire nel perseguimento degli obiettivi generali legati al processo di digitalizzazione. Una sfida fondamentale nel predisporre gli investimenti dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund, per un governo che si è da subito contraddistinto per una generale disinteresse nei confronti della comunicazione istituzionale via social.

Per non sprecare un’occasione preziosa, quindi, l’Italia dovrà necessariamente abbracciare un approccio olistico alla propria trasformazione digitale. Dalla didattica nelle scuole, alla valorizzazione delle risorse umane – sia nel settore pubblico che in quello privato –, fino alla digitalizzazione del sistema monetario. Perché sia efficace, la diffusione della cultura digitale dovrà pervadere tutti i campi del sistema Paese senza lasciare indietro nessun settore professionale o fascia di età. Il presidente di Confindustria Digitale Cesare Avenia ha infatti osservato come il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) sembri trascurare questa istanza imprescindibile, in particolare per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione: “Sul tema fondamentale della cultura e competenze digitali, dell’uso di Internet e dei servizi online, nel PNRR non vi sono indicazioni concrete su aspetti cruciali come i programmi di riqualificazione dei lavoratori, né vi sono corrispondenze operative e logiche con la ‘Strategia nazionale delle competenze digitali’”.

Per il momento, Mario Draghi ha dichiarato l’intenzione di dedicare particolare attenzione a un generale rinnovamento degli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori, che riceveranno la spinta di un maxi-investimento corrispondente a “20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia”. L’obiettivo è quello di restituire prestigio all’insegnamento tecnico, che costituisce un ambito formativo essenziale in altri Paesi europei, come la Germania e la Francia. Un percorso didattico, quello tecnico, che permette un ingresso precoce nel mondo del lavoro, dando respiro alle generazioni più giovani che da anni faticano a trovare il proprio spazio professionale in un panorama segnato da livelli di disoccupazione preoccupanti. Gli Istituti Tecnici Superiori sono effettivamente il contesto ideale per l’integrazione di nuove materie di studio legate proprio all’innovazione, ma in questo senso la messa a disposizione di fondi non è una strategia sufficiente: è necessaria una vera e propria riforma dell’insegnamento tecnico che sappia accogliere profondamente le istanze della transizione digitale.

Gli investimenti in innovazione tecnologica, come sottolinea lo studio di Deloitte, frutteranno esponenzialmente e velocemente. Questo, però, sarà possibile solo se tutti i cittadini italiani saranno messi nella condizione di goderne i benefici e i vantaggi: un aspetto, quello umano, che il governo Draghi dovrà quindi tenere bene a mente. Il momento della distribuzione dei fondi dedicati alla digitalizzazione si avvicina: un’opportunità che potrà essere trasformata, con la giusta strategia, in un significativo volano economico e sociale.