Negli ultimi anni il centrosinistra sembra aver perso parte della propria identità originaria, spostando il dibattito da temi storicamente legati al lavoro, alla crescita e ai diritti sociali verso questioni di appartenenza e riconoscimento identitario. Una trasformazione che, secondo vari osservatori, sta portando la sinistra a inseguire la destra su questioni che un tempo le erano contrarie, adottandone toni e argomentazioni.
Di fatto, quella parte di universo politico che un tempo dialogava con operai, tecnici e imprenditori appare oggi più incerta, talvolta attratta da logiche e linguaggi che poco si conciliano con i principi di uguaglianza e solidarietà. Il rischio, sottolineano alcuni analisti, è che si finisca per accettare come legittime distinzioni che nulla hanno a che fare con la competenza o il merito, ma che rispondono a criteri di origine o appartenenza culturale.
Fincantieri e il caso Monfalcone
La situazione di Monfalcone è divenuta in questo senso un caso emblematico. Nella città friulana, dove nell’area di Panzano ha sede di uno dei più importanti cantieri navali di Fincantieri (più di 5.000 addetti, di cui circa 1.500 assunti a tempo indeterminato), la sinistra locale ha firmato una mozione della Lega con la quale si chiede sostanzialmente all’azienda di rivedere le modalità di gestione degli appalti e subappalti, nonché alcuni aspetti della sua organizzazione industriale, in nome di un maggiore equilibrio sociale.
Una richiesta che ha suscitato dibattito, perché interpretata da molti come un tentativo di intervenire sulle scelte strategiche di un gruppo internazionale che opera in oltre venti Paesi e genera un significativo indotto economico. Fincantieri rappresenta infatti una realtà consolidata, con investimenti costanti in innovazione, sicurezza, formazione e benessere dei dipendenti. Negli anni ha introdotto protocolli di legalità, sportelli di mediazione culturale e progetti di social housing destinati al personale, a testimonianza di un modello industriale che integra crescita economica e responsabilità sociale.
Tuttavia, questi aspetti vengono spesso trascurati nel confronto politico, che tende a privilegiare la contrapposizione ideologica più che l’analisi dei risultati concreti.
Lavoro, propaganda e il rischio della polarizzazione
Il caso Monfalcone si inserisce così in una cornice indubbiamente più ampia, quella di un confronto politico in cui la questione del lavoro rischia di essere piegata a logiche di consenso. Da un lato si rivendica la difesa dei lavoratori come principio universale, dall’altro si tende a definire chi sia degno di rappresentanza e chi no, creando fratture interne e nuove disuguaglianze.
Un esempio è il dibattito sull’amianto, che nel tempo si è trasformato in un terreno di scontro politico più che in un confronto sui progressi realizzati in materia di sicurezza e trasparenza. In questo intreccio di posizioni e dichiarazioni, il valore concreto del lavoro sembra passare in secondo piano rispetto alla narrazione ideologica.
Monfalcone, dunque, non è solo una vertenza locale: diventa il simbolo di una difficoltà più generale della sinistra italiana a ritrovare un equilibrio tra principi e pragmatismo, tra difesa dell’impresa e tutela dei lavoratori. Ritrovare questo equilibrio, fatto di competenza e concretezza, appare oggi la sfida più urgente per chi intende tornare a rappresentare davvero il mondo del lavoro.




