La lettera di un udinese dopo i recenti fatti di cronaca in città.
Non ce la facciamo più. Non io, non i miei vicini, non i commercianti che ogni giorno alzano la serranda con l’angoscia nello stomaco, non le famiglie che hanno paura persino di passeggiare nel “salotto buono” della città. Udine, quella che per anni è stata considerata un’isola felice del Nordest, è diventata un campo di battaglia in cui a vincere non sono la legalità e la convivenza civile, ma bande di delinquenti senza scrupoli, senza rispetto, senza paura.
L’ultimo episodio è stato quello dell’accoltellamento in piazza San Giacomo. Un giovane imprenditore, Gabriele Dusso, 34 anni, colpito alla schiena mentre cercava solo di difendere una ragazza dalle mani pesanti di un branco di sei individui di origine balcanica. Un gesto di coraggio pagato con due fendenti vicino al rene, la corsa all’ospedale, l’intervento, lo shock. Ma al di là della cronaca, resta l’amarezza: in pieno centro, a due passi dai locali, tra la gente seduta ai tavolini, nessuno è intervenuto. Per paura, non per indifferenza. E questa è la fotografia più crudele della nostra città oggi: cittadini ridotti al silenzio e all’immobilità, perché lo Stato non c’è e l’insicurezza ha paralizzato la nostra libertà.
Io non riconosco più Udine. La sera scendo in centro con la sensazione di camminare in terra straniera, senza protezione, circondato da facce che non hanno nulla da perdere. Una parola di troppo, uno sguardo sbagliato, e ti ritrovi accerchiato, insultato, minacciato, aggredito. Non sono paranoie, non sono racconti gonfiati: è quello che succede, è cronaca di tutti i giorni. E chi continua a negare l’emergenza fa parte del problema.
L’illusione della sicurezza
Vogliamo parlare della presenza delle forze dell’ordine? Quale presenza? La polizia locale la vediamo passare in auto la mattina presto, intenta a fare multe a chi lavora, non certo a presidiare le piazze quando servirebbe. La polizia di Stato? Raramente visibile, e quando appare sembra muoversi con cautela, quasi avesse paura di scontrarsi con questa gentaglia. I militari? Sfilano in macchina, a passo d’uomo, inquinando l’aria e convincendosi di “essere sul territorio”. Ma quando mai un delinquente ha avuto paura di un blindato che passa e va?
Questa è la messa in scena della sicurezza: uniforme, lampeggiante, qualche giro di routine. Una scenografia vuota che non tranquillizza nessuno, che non dissuade chi delinque, che non impedisce le aggressioni. Le forze ci sarebbero, ma non sono impiegate nel modo giusto. E il risultato è che noi cittadini siamo lasciati soli, esposti, indifesi.
Le istituzioni ci prendono in giro
Dopo ogni episodio, parte la solita litania di dichiarazioni. Il sindaco condanna, promette “riconoscimenti” al coraggio di chi ha reagito, salvo poi correggere il tiro e chiedere “prudenza”. I consiglieri regionali si dividono tra chi invoca l’espulsione urgente degli stranieri responsabili e chi, dall’altra parte, minimizza, riduce tutto a episodi isolati, e se provi a dire che hai paura ti etichettano come allarmista o peggio ancora come razzista.
Intanto noi cittadini siamo ostaggi. E quando leggiamo che qualcuno propone di “studiare”, di “valutare”, di “attendere le indagini”, ci viene la nausea. Non servono nuove leggi, non servono tavoli di concertazione. Servono uomini in strada, servono controlli veri, servono arresti immediati, servono espulsioni lampo. La legge c’è già: il problema è che non la si applica con fermezza.
Udine come metafora di un’Italia debole
Non è solo Udine, dicono. Vero, ma questo non consola. Il punto è che proprio qui, dove eravamo abituati a una vita ordinata, pulita, rispettosa, la degenerazione si sente di più. Udine è il simbolo di un’Italia che abdica alla sua sovranità nelle strade, che lascia spazio a bande organizzate o improvvisate, che tollera la sopraffazione. È il Paese in cui chi lavora, chi studia, chi paga le tasse si sente abbandonato, mentre chi delinque sembra muoversi libero e quasi protetto.
Il risultato è che la paura ci cambia le abitudini. Le donne scelgono la bicicletta per sentirsi meno esposte, evitano di rimanere fuori fino a tardi, corrono dalla macchina al locale cercando di non farsi notare. I ragazzi si muovono in gruppo, perché da soli non si fidano più. Le famiglie evitano il centro storico la sera. È questa la città che vogliamo? Una città in cui il cuore pulsante diventa terra di nessuno, dove il salotto buono si trasforma in teatro di aggressioni?
La verità che nessuno osa dire
La verità è che la paura non la toglieranno con i comunicati stampa. Non bastano gli annunci di “più attenzione” o le frasi fatte tipo “livello di guardia alto”. Servono scelte nette. Servono due agenti fissi in centro, a piedi, sempre. Servono pattuglie miste con polizia e carabinieri, pronte a intervenire sul posto. Servono militari non in macchina, ma a presidiare, armati, visibili, pronti a fermare chi sgarra. E serve il coraggio politico di dire che chi aggredisce, chi porta un coltello, chi alza le mani su una donna non deve avere più diritto di cittadinanza: espulsione immediata, carcere senza sconti, nessuna scappatoia.
Troppo violento? Troppo drastico? No, è l’unica via. Violenti sono loro, quelli che accoltellano alle spalle, non chi chiede ordine e protezione. Drastico è vedere un ragazzo a terra in una pozza di sangue mentre i cittadini, terrorizzati, si girano dall’altra parte. Non siamo noi a esagerare: è lo Stato che ha mollato la presa.
Io non ho più pazienza
Io, cittadino di Udine, non ho più pazienza. Non voglio più sentirmi dire che “la percezione non corrisponde alla realtà”. La mia percezione è realtà: la paura di tornare a casa la sera, la rabbia di vedere la mia città svenduta all’insicurezza, la frustrazione di assistere al teatrino politico mentre la vita quotidiana diventa un percorso a ostacoli.
E se qualcuno pensa che basti aspettare che le acque si calmino, si sbaglia. Ogni volta che chiudiamo gli occhi davanti a un’aggressione, ogni volta che accettiamo che “poteva andare peggio”, ogni volta che minimizziamo, regaliamo un pezzo della nostra libertà a chi vive di violenza.
Basta fatalismo, serve decisione
I comitati cittadini hanno ragione quando denunciano il fatalismo con cui si affronta questa emergenza. Fatalismo è dire “succede dappertutto”. Fatalismo è rassegnarsi a evitare il centro di sera. Fatalismo è credere che non ci sia soluzione. Invece la soluzione c’è, ed è l’azione. Azione quotidiana, presenza reale, fermezza giudiziaria. Non servono nuove leggi, ripeto: servono volontà e coraggio.
Perché se non sarà lo Stato a difenderci, qualcuno penserà di organizzarsi da solo. E la “giustizia fai da te” è l’anticamera della barbarie. Non la vogliamo, ma il rischio è concreto. E se succederà, sarà responsabilità diretta di chi oggi ha il potere di agire e sceglie di non farlo.
Un appello
Io amo Udine, amo la mia città, amo le sue piazze, i suoi locali, la sua vita. Ma non posso più tacere. Rivolgo un appello diretto: alle istituzioni locali, al sindaco, al prefetto, alla questura. Basta parole, dateci fatti. Rivolgo un appello alle forze dell’ordine: fate il vostro dovere fino in fondo, mostrateci che non avete paura, fateci sentire protetti. Rivolgo un appello alla politica nazionale: smettetela di litigare su chi è più duro o più buonista, fate rispettare le regole e difendete i cittadini onesti.
Noi non vogliamo vivere nel terrore. Non vogliamo camminare con la testa bassa. Non vogliamo sentirci stranieri a casa nostra. Vogliamo una città libera, sicura, rispettata.
Se qualcuno pensa che sia un’esagerazione, venga a passeggiare di sera in piazza San Giacomo, venga a parlare con chi c’era quando Gabriele è caduto a terra trafitto da due coltellate, venga a guardare negli occhi chi non ha avuto il coraggio di intervenire perché lo Stato non c’era. Allora capirà.
Udine non merita di affondare nella paura. Udine merita di rialzarsi, con la testa alta e la schiena dritta. Ma perché questo accada, servono azioni immediate. Non domani, non tra un mese, non dopo l’ennesima tragedia. Adesso.
Perché noi cittadini non aspetteremo più.