Partorire ai tempi del coronavirus: l’odissea di una coppia dell’Alto Friuli

L’avventura (a lieto fine) di una coppia dell’Alto Friuli.

“Me la sarei ricordata comunque, ma un’esperienza del genere non avrei mai pensato di viverla”. A parlare è Stefano (nome di fantasia), che vive in un comune dell’Alto Friuli ed è da poco diventato papà. Un momento bellissimo, trasformatosi però ai tempi del coronavirus in una piccola odissea.

Assieme alla moglie Chiara – anche questo nome di fantasia -, l’uomo sceglie l’ospedale di Udine per far venire al mondo suo figlio.Lo abbiamo fatto – racconta – perché c’è il reparto post-neonatale e così ci sentivamo più tranquilli”. Dalla loro casa, il nosocomio dista qualche decina di chilometri. Giovedì scorso, nel pomeriggio, Chiara entra in ospedale per un parto programmato “e verso le 19 è cominciata l’induzione”. Da qui, parte una vicenda che ha dell’incredibile e mette a dura prova mamma e papà. Le regole anti-pandemia costringono la coppia a stare divisa (il padre è ammesso soltanto al momento del parto) e mentre la donna deve “sopportare” quasi 50 ore di travaglio – il piccolo nasce nel pomeriggio di sabato -, per l’uomo comincia il calvario.

Vista la distanza tra l’ospedale e la casa, Stefano non se la sente di spostarsi. Si ritrova a dormire in macchina, sotto la struttura sanitaria, e le quattro ruote diventano per due giorni la sua casa. “Sono rientrato nella mia abitazione sabato alle 21. Ho mangiato come ho potuto e con gli hotel chiusi non ho potuto nemmeno prenotare una stanza d’albergo. Per fortuna, un’amica di Udine mi ha ospitato per potermi almeno fare la doccia. Comunque, è stata un’esperienza forte, drammatica. Avrei potuto andare a casa, ma come avrei fatto a lasciare sola mia moglie, al primo parto? La sua famiglia, oltretutto, abita lontano”.

Perché, oltre al disagio logistico, l’uomo soffre anche per la lontananza dalla moglie pronta a partorire. “Non c’era la possibilità di entrare da lei e non potevo pretendere che mi aggiornasse continuamente tramite telefono. Non sapere le sue condizioni mi ha logorato” racconta Stefano. Anche dopo il parto, le sue preoccupazioni non sono diminuite: la donna è stata sottoposta a taglio cesareo “e non riusciva ad alzarsi dal letto. Ero preoccupato per mio figlio e tanto stress mi ha presentato il conto: ho avuto un crollo psicologico. Mi sono sentito impotente, non sapevo che fare per aiutarla”.

Anche in ospedale, Stefano si è dovuto scontrare con una certa severità: “Ho chiesto informazioni e non sempre mi è stato risposto con gentilezza. Qualche volta ho dovuto alzare i toni anche io per far valere le mie ragioni – sottolinea -. Poi, non capisco perché a lei sia stato fatto il tampone per il coronavirus e a me no. Con questa accortezza, si sarebbe potuto superare l’ostacolo dell’assurda regola che vuole il padre fuori dalla sala travaglio, ma gli è concesso esserci durante il momento della nascita…”.

Tutto, alla fine, si è risolto per il meglio: loro figlio gode di ottima salute e papà Stefano ha potuto trascorrere con lui un paio di ore dopo il parto, lavandolo e assaporando i primi attimi di vita del piccolo. “Sono stato fortunato: una persona che conosco, appena diventata padre di due gemelli, non li ha potuti vedere per due giorni. Ha dovuto sottoporsi al tampone e soltanto dopo è potuto entrare. Nel male è andata bene”. Stefano e Chiara, di certo, non dimenticheranno la nascita del loro primogenito. Un’avventura a lieto fine, con tante emozioni forti.