“Vi racconto perché il primo maggio 1945 Gorizia non l’ha liberata nessuno”

La finta Liberazione di Gorizia.

di Alessandro D’Amato

Così come l’Ucraina – la parola significa “ai margini” in slavo – per la sua posizione e la sua storia Gorizia è una città di confine. Si trova nel territorio che congiunge il Friuli alla Venezia Giulia. La sua storia rappresenta un punto di congiunzione tra le culture romanze, slave e germaniche. Nel 1947 con la stipula del Trattato di Parigi che sanciva la fine delle ostilità della Seconda Guerra Mondiale la cittadina venne assegnata all’Italia mentre la parte Nord Orientale del territorio goriziano finì alla Jugoslavia di Tito, compresa la stazione ferroviaria Transalpina mentre la piazza antistante venne spartita equamente tra Roma e il futuro centro di Nova Gorica. 

La divisione

Una barriera, abbattuta soltanto nel 2004, divideva il confine tra le due cittadine e, insieme, certificava la spartizione del territorio tra il blocco comunista di Josif Broz e l’Occidente. Al centro della piazza vennero successivamente collocati un mosaico ed una piastra metallica commemorativa, che segna il tracciato della frontiera fra l’Italia e la Slovenia. Viste le sue caratteristiche intrinseche, non è sorprendente che quel territorio sia stato teatro di una disputa come quella che si scatenò subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale tra Italia e Jugoslavia. Quella che riportiamo in questo documento è la testimonianza di una persona che a quei tempi viveva proprio nella zona e parte da una data ben precisa: il primo maggio del 1945. Ovvero la data che nella storiografia è definita come quella della “liberazione” della città. Che però, secondo lui, non è andata esattamente come raccontano le cronache di quei giorni. 

Il saggista Alessandro Cattunar ha raccontato sulla rivista scientifica open access  “Storicamente.org” i giorni precedenti il primo maggio. Il 29 aprile 1945 nella cittadina si tenne una riunione del Comitato di Liberazione a casa di Angelo Culot. I tedeschi erano pronti a far partire i loro 3.000 uomini che si trovavano nei presidi esterni, dopo aver sabotato alcune delle strutture strategiche della città. In periferia erano accampati 20 mila cetnici, monarchici della destra conservatrice che costituivano la retroguardia dei nazisti. 

Ai membri del Comitato si contrapponevano quelli dell’Of, il fronte di liberazione sloveno. Il punto di contrasto era ovviamente la futura collocazione nazionale della città. Alla fine, racconta Cattunar, il governo provvisorio nominato dal Comitato e dall’Of, 2constatata l’impossibilità del progetto insurrezionale a causa delle soverchianti forze nemiche”, decise di raggruppare tutti i militari all’esterno della città al fine di evitare scontri impari e inutili spargimenti di sangue con le retrovie dell’esercito avversario. E qui comincia la storia che racconta il nostro testimone. Che sarà emendata degli aspetti che consentirebbero una sua identificazione, visto che ha chiesto l’anonimato. 

“Uscii di casa di buon mattino per andare a Gorizia a causa di gravi ragioni familiari. Presi una delle due strade che portano al ponte “8 Agosto” sul fiume Isonzo. La prima cosa che mi colpì appena messo piede fuori di casa è che le strade erano completamente vuote e deserte. Non incontrai nessuno. Arrivato in prossimità del ponte vidi che era stato fatto saltare con la pendenza verso il centro in direzione di Gorizia. Tornai indietro e mi diressi verso la passerella di legno che veniva utilizzata come passaggio alternativo dalla gente del posto. Per arrivarci passai per il Sottopasso Baruzzi”. 

Il testimone parla del sottopassaggio ferroviario intitolato ad Aurelio Baruzzi che si trova ai piedi del Monte Calvario. Baruzzi fu il primo italiano ad entrare a Gorizia e ad issare la bandiera tricolore la mattina dell’8 agosto 1916 durante la Grande Guerra. Su questo sottopasso il 7 agosto 1916 il sottufficiale romagnolo riuscì assieme ad altri suoi commilitoni ad intrappolare circa trecento militari austro-ungarici ed a requisire diverse armi (tra cui due cannoni). Il Comando Supremo la considerò una manovra straordinaria e per questo motivo fu deciso di apporre un’epigrafe a lui dedicata. 

“A quel punto imboccai la strada per Gorizia e lì mi imbattei in un cetnico morto. Si trovava a terra sulla strada che portava alla passerella. Aggirai il corpo e continuai ad andare avanti. Arrivato alla passerella di legno: lì c’era un giovane vestito con abiti civili e un berretto con una stella rossa. Mi lasciò passare senza né dirmi né chiedermi nulla”. Il nostro testimone imboccò la strada di Gorizia: anche lì senza incontrare nessuno. 

“Seguii il corso e arrivai a un incrocio di vie: una portava alla stazione, una portava fuori Gorizia e un’altra portava verso Ovest. Dall’altra parte della strade c’era un’osteria. Davanti all’osteria si trovavano i resti di un carretto bruciato con un cavallo morto attaccato. Ancora usciva il fumo perché era andato a fuoco di recente. Scesi per il corso e mi incamminai verso la zona che dovevo raggiungere. Arrivai al ponte e lì mi accorsi che un metro più in basso rispetto al ponte si trovava una specie di camminamento che era stato minato con un fascio di corda-miccia e i detonatori inseriti nelle mine”. 

Il testimone a questo punto decise di togliere i detonatori dall’esplosivo. “Non potevano esplodere senza la scintilla: ho disattivato io la carica che era pronta per far saltare il camminamento. Chi le aveva messe? Non lo so. Ma dai documenti dell’epoca deve risultare che chi è andato a fare successivamente lo sminamento del ponte deve aver trovato le cariche già tolte. Perché le ho tolte io. Ricordo perfettamente di aver nascosto le cariche in un cespuglio lì vicino”. Dopo aver tentato senza successo di concludere l’incarico che la sua famiglia gli aveva affidato raccontò ai familiari quello che aveva visto. Nel primo pomeriggio, secondo il suo ricordo, la città venne invasa da dimostranti con bandiere slave che chiedevano l’annessione di Gorizia alla Jugoslavia di Tito: “Il ponte il primo maggio era già saltato. L’ho visto con i miei occhi. Venne fatto saltare per non far arrivare gli angloamericani in città”.  

I libri raccontano una storia diversa. Il primo maggio i primi ad arrivare in città per proclamare la liberazione furono gli esponenti di un comando partigiano slavo guidato dal commissario “Boro”.  Qualche ora dopo fu la volta di un piccolo gruppo di ufficiali neozelandesi che però decise di attendere l’arrivo degli Alleati angloamericani. I partigiani di Tito chiesero al Cln di cedere loro il comando della città; il Cln respinse la richiesta e il giorno seguente gli slavi presero il potere con la forza, disarmando la guardia italiana. Il 2 maggio la città venne “invasa” da una folla di gente proveniente soprattutto dal circondario che inneggiava all’appartenenza di Gorizia alla Jugoslavia e manifestò a lungo per le vie del centro. “Quello che voglio testimoniare è che Gorizia non l’ha liberata nessuno. Il primo maggio, al mattino, era una città vuota. Non c’era nessuno da cui liberarla. Questa è quello che ho visto con i miei occhi. E non potrò mai dimenticarlo”.