Da un lato l’occupazione che aumenta, ed è un dato oggettivo. Dall’altro un andamento demografico sempre più preoccupante, con la prospettiva di una riduzione di 84mila unità della forza lavoro potenziale nei prossimi 15 anni.
Il segretario generale della Cgil Friuli Venezia Giulia Michele Piga “legge” così i dati del report curato dall’Ires Fvg, presentato oggi dal ricercatore Alessandro Russo nel corso di una conferenza stampa convocata nella sede della Camera del Lavoro di Trieste. “Altrettanto allarmante la progressiva precarizzazione del lavoro. Indice di un modello di sviluppo che sembra incentivare in primis il lavoro povero, mentre perde progressivamente peso l’industria, peraltro alle prese con nuovi segnali recessivi, evidenziando la necessità, qui in Fvg, di riprendere in mano il filo di Manifattura 2030, un dossier che la Regione sembra avere accantonato”, spiega Piga..
Precarietà e gender gap.

Trentasettemila residenti persi dal 2021 nella fascia 15-64 anni, la ripresa dell’emigrazione tra gli italiani (-15mila il saldo tra attivi e partenze dal 2024), la crescente concentrazione del lavoro in tipologie contrattuali meno stabili e in settori caratterizzati da livelli retributivi inferiori alla media, come il turismo e i servizi, il pesante gap che penalizza le retribuzioni delle donne (-33% rispetto al salario medio maschile) e dei giovani (-25% la differenza a scapito degli under 45).
Questi i dati salienti finiti sotto la lente della Cgil, che punta il dito anche contro la diminuzione dei contratti stabili: “Il numero delle assunzioni a tempo indeterminato è calato dell’8,3% e nel 2024, quello dei contratti di apprendistato, anticamera di assunzioni stabili, del 9,7%. Solo i contratti somministrati sono andati peggio, calando del 13,1%, mentre ad aumentare sono soltanto quelli a tempo, dal +2,6% dei contratti a termine fino al +6,1% del lavoro stagionale e al +11,7% dei contratti intermittenti. Guardando solo al tempo indeterminato, inoltre, il tasso assunzioni/cessazioni è negativo di 15mila posti”.
Potere d’acquisto, bruciati 8 punti.
La minore stabilità contrattuale, e la crescita di mansioni legate al turismo e agli appalti, caratterizzate da una forte presenza di stagionalità, precarietà e contratti part-time, si riverbera anche sui salari. Tra il 2019 e il 2023, come emerge dai dati Inps analizzati dall’Ires, la perdita media del potere d’acquisto è stata dell’8,5%, segno che è stata recuperata, in sostanza, solo la metà dell’inflazione patita (16%).
“Una debolezza – dichiara Piga – che riguarda tutti i settori ed è legata non soltanto ai ritardi nei rinnovi contrattuali a livello nazionale, ma anche alla diffusione di contratti a tempo e part-time. Urgente, per cominciare a invertire il trend, anche dare gambe all’emendamento accolto in legge di bilancio per la premialità alle imprese che sottoscrivono accordi di 2° livello aziendali e territoriali con i sindacati maggiormente rappresentativi, per impattare positivamente sui salari anche nelle piccole imprese”.
Possibile anche intervenire per ridurre il gap salariale a scapito delle donne: “Contratti e legislazione possono e devono supportare anche una crescita dei servizi alle famiglie, dall’infanzia agli anziani, e favorire una maggiore condivisione dei carichi familiari, che oggi continuano a gravare soprattutto sulle donne, come dimostra la crescita del part-time, spesso involontario“.