Il 9 ottobre di 62 anni fa la tragedia del Vajont.
Sono passati sessantadue anni dalla notte del 9 ottobre 1963, quando una frana colossale si staccò dal Monte Toc e precipitò nel bacino artificiale del Vajont, generando un’onda alta oltre 300 metri che travolse Longarone, Erto, Casso e altri centri. In pochi minuti, più di 1.900 persone persero la vita. Famiglie intere furono spazzate via, case e paesi cancellati. Un disastro che non solo devastò un intero territorio, ma segnò profondamente la coscienza civile del Paese, lasciando un’eredità di dolore, domande e responsabilità mai dimenticate.
Sessantadue anni dopo, l’Italia torna a ricordare una delle più gravi tragedie civili della sua storia. Ma il Vajont non è solo memoria: è il simbolo tragico di una catastrofe annunciata, di una montagna che parlava – e di uomini che non vollero ascoltare.
Il disastro evitabile
Già prima del 1963, tecnici e geologi avevano lanciato l’allarme: il fianco del Monte Toc mostrava chiari segni di instabilità. Fratture, smottamenti, crepe nel terreno. Il rischio di una frana nel bacino era documentato, discusso, temuto. Ma le opere della diga. Quando la montagna cedette, la diga – progettata per resistere – non crollò. Ma non bastò. L’acqua si comportò come previsto dai peggiori scenari: fu lei a fare da strumento di morte.
Il ricordo del Friuli Venezia Giulia.

Sui video del Consiglio regionale scorrono immagini che parlano da sole: edifici rasi al suolo, volti di persone smarrite, un paesaggio lunare dove solo qualche ora prima c’erano case, voci, vita. È il ricordo della terribile notte del 9 ottobre 1963, passata alla storia come la tragedia del Vajont.
“Queste immagini – ha sottolineato il presidente dell’Aula, Mauro Bordin – ci ricordano una ferita ancora aperta, che resta viva nella memoria del Friuli Venezia Giulia e dell’intero Paese. Una frana di proporzioni immense precipitò nel bacino del Vajont travolgendo Longarone, Erto e Casso e portando via quasi duemila vite”. “Il Vajont – ha aggiunto Bordin – è il simbolo doloroso di quanto può accadere quando il progresso dimentica il rispetto per l’uomo e per la montagna”.
A 62 anni di distanza, “vogliamo ricordare le vittime ma anche chi offrì la propria solidarietà. E mettere in evidenza la forza dei sopravvissuti che hanno saputo trasformare il dolore in memoria viva, contribuendo alla crescita dei loro territori”.
“Oggi – ha concluso il presidente del Cr – sentiamo forte la responsabilità di governare con equilibrio lo sviluppo, mettendo sempre la vita e la dignità delle persone al centro delle scelte pubbliche. Quella notte resta un monito morale e civile per noi e per le nuove generazioni”.
Bordin ha voluto poi esprimere il cordoglio suo personale e dell’intera Aula alla famiglia della studentessa diciassettenne Alice Morsanutto, investita e uccisa da un furgone questa mattina a Precenicco mentre stava andando a scuola.