La vita difficile delle famiglie in Friuli dopo il coronavirus, tra rincari dei centri estivi e rate dell’asilo da pagare

I problemi delle famiglie dopo il coronavirus.

Prima le chiusure di scuole e asili. Poi, l’obbligo di rimanere chiusi in casa per mesi, con difficoltà ancora maggiori per chi non aveva un giardino privato dove portare i più piccoli a prendere una boccata d’aria e a giocare un po’. Le famiglie con bambini sono state tra le più penalizzate dalla pandemia da coronavirus.

E ora che la fase tre è alle porte, all’orizzonte si nasconde ancora qualche problematica. La prima è legata ai centri estivi per bambini superiori a 3 anni. La Regione ha emesso le linee guida all’attività, che prevedono alcuni protocolli come la frequente sanificazione dei giochi, il numero di adulti per bimbo (per esempio, un educatore ogni 5 bambini della fascia d’età 3-5 anni), gli spazi necessari per avviare il centro, le modalità di accompagnamento e ritiro di chi frequenta.

Attenzione, però, ai costi del servizio. In un centro estivo di Udine sono arrivati già i rincari: “Una mamma ci ha segnalato un caso di aumento dell’importo – racconta Barbara Puschiasis, presidente dell’associazione Consumatori Attivi -. Ha due bimbi, uno di 7 e uno di 4 anni e per sette settimane le sono stati chiesti 1.450 euro. E questo, soltanto per la mattina, senza pranzo incluso. Lo scorso anno, nella medesima struttura, pagava 350 euro a bambino, lasciando i piccoli tutto il giorno e con pasto compreso. Praticamente, sono raddoppiati i costi. Senza contare che, nel pomeriggio, dovrà pagare una babysitter perché sia lei, sia il marito lavorano”.

Secondo quanto racconta Puschiasis, però, c’è anche l’altro lato della medaglia. “Visti i protocolli, alcuni centri estivi del Friuli potrebbero decidere di non riaprire. Non riescono ad applicare le misure richieste. Soprattutto chi non dispone di spazi grandi si è ritrovato con le spalle al muro. E il mancato riavvio penalizzerà ancor di più le famiglie”. A incidere potrebbe essere anche l’aumento dei costi, da quelli per l’igienizzazione alla necessità di avere più educatori proprio per rispondere ai requisiti necessari. “Con tariffe più alte – aggiunge – molti genitori si trovano in condizione di non riuscire a sostenere l’onere dell’iscrizione”. La presidente di Consumatori Attivi lancia un appello: “Le istituzioni dovrebbero interessarsi di più del settore, prima di riaprire le discoteche o preoccuparsi di altro. Genitori e bambini – conclude – sono stati lasciati allo sbando”.

Non ha ricevuto segnalazioni di rincari nei centri estivi, invece, Federconsumatori di Udine. La presidente Erica Cuccu, però, solleva un’altra questione: “Molte famiglie che mandano i bimbi negli asili nido privati – racconta – si trovano a pagare rate per un servizio di cui non stanno usufruendo da marzo, da quando cioè c’è stato il lockdown. Le competenze sono annuali, ma vengono spalmate mensilmente”. Se per gli asili pubblici i pagamenti erano già stati sospesi, non altrettanto accade per quelli privati: “La Regione ha offerto un aiuto, ma diciamo che mediamente le famiglie devono sborsare circa 300 euro al mese, rispetto ai 400-500 dell’importo pieno. Per le famiglie diventa complicato far fronte a tutte queste uscite. E così, magari, nonostante il bonus babysitting si rinuncia a far iscrivere i più piccoli ai centri estivi”. Ma perché si sceglie una struttura privata, anziché quella pubblica? “Perché in queste ultime spesso non ci sono posti. E gli asilo nido pubblici sono pochi” conclude la presidente di Federconsumatori Udine.

Insomma, tempi tutt’altro che facili per le famiglie con bambini e magari entrambi i genitori che lavorano. Ancor più dura anche per chi non può contare sull’aiuto dei nonni.