Riciclaggio di denaro con la mafia cinese, 4 in manette in Friuli. Sequestrati 10 milioni

Riciclaggio di denaro, 4 arresti in Friuli.

La Guardia di Finanza di Venezia ha dato esecuzione all’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari di Pordenone, su richiesta della Procura della Repubblica di Pordenone, con la quale è stata disposta la custodia cautelare in carcere di 3 soggetti ed una misura domiciliare per un ulteriore indagato, tutti responsabili dei reati di riciclaggio ed emissione ed utilizzo di fatture false nell’ambito di una maxi frode fiscale internazionale nel settore del commercio di rottami di ferro e di bancali di legno.

Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro, anche per equivalente, di denaro, beni mobili e immobili degli indagati per un ammontare di circa 10 milioni di euro, quale provento delle condotte illecite. Sono anche in corso 11 perquisizioni nelle province di Venezia, Padova, Treviso e Udine, eseguite dai militari della Compagnia di Portogruaro e dei Reparti della Guardia di Finanza competenti per territorio.

L’indagine è scaturita degli esiti di una perquisizione locale disposta dalla Procura della Repubblica di Pordenone nell’ambito di un procedimento penale a carico di uno degli indagati. Durante le operazioni, eseguite dalla Compagnia di Portogruaro, l’interessato aveva tentato di disfarsi, lanciandoli oltra la siepe di recinzione della propria abitazione, di un hard disk e di uno smartphone. Il gesto non è tuttavia sfuggito ai finanzieri che, recuperati prontamente i dispositivi, hanno proceduto all’estrazione e all’analisi forense del loro contenuto, con l’ausilio di un consulente tecnico nominato dalla Procura di Pordenone.

I dati così estrapolati hanno permesso di individuare un sodalizio criminale radicato nel portogruarese e dedito al riciclaggio di denaro frutto di evasione fiscale, con la compiacenza della criminalità cinese in Veneto. Articolato e insidioso il sistema fraudolento utilizzato dal gruppo. I membri dell’organizzazione si rendevano disponibili a ricevere ingenti quantità di denaro da imprenditori italiani su conti correnti esteri riconducibili a società dell’est d’Europa intestate a prestanome. A questo scopo, le cartiere emettevano fatture di comodo nei confronti delle aziende nazionali per giustificare formalmente e contabilmente i trasferimenti di fondi all’estero come pagamenti di operazioni commerciali, in realtà del tutto fittizie.

Una volta accreditati sui conti esteri di destino, i capitali venivano immediatamente trasferiti con bonifico presso una banca di Shangai, in conti correnti di fiancheggiatori dell’organizzazione. L’avvenuto accredito delle somme in Cina era successivamente comunicato ai referenti in Italia dell’organizzazione che, sulla base dei contatti con esponenti della criminalità cinese della provincia di Padova, si recavano in specifici luoghi di incontro per l’incasso in contanti delle somme bonificate, depurate di una percentuale per il servizio illecito reso. I contanti venivano poi distribuiti tra gli imprenditori italiani che, all’inizio del giro illecito, avevano ricevuto e pagato le fatture emesse dalle società cartiere estere, anche in questo caso con la trattenuta di una percentuale come pagamento del servizio ricevuto.

Plurimi i vantaggi della frode individuata. Gli indagati hanno lucrato consistenti percentuali di guadagno grazie alle transazioni finanziarie, nascondendosi dietro prestanome inconsapevoli. Gli imprenditori italiani utilizzatori delle false fatture, oltre a contabilizzare costi inesistenti, si sono precostituiti fondi neri da impiegare per fini personali o per alimentare altri circuiti di evasione fiscale, tramite acquisti in nero e l’utilizzo di manodopera non regolare. La criminalità cinese ha potuto esportare, senza rischi e con vantaggiosi meccanismi di compensazione, ingenti quantità di capitali verosimilmente frutto di evasione fiscale e di altre condotte illecite.

Il giro d’affari al momento ricostruito dai finanzieri della Compagnia di Portogruaro supera i 60 milioni di euro. A comprova della falsificazione delle fatture e alla estero-vestizione delle società, sono stati ritrovati nelle abitazioni degli indagati, tra Portogruaro e San Michele al Tagliamento, tutti i timbri relativi alle citate società dell’est nonché dei trasportatori esteri. Nessuno dei trasporti documentato era mai stato realmente eseguito.

A margine dell’indagine sono stati ricostruiti a carico di uno degli indagati 2 ulteriori meccanismi di evasione delle imposte. Il primo è stato realizzato con lo spostamento, solo cartolare, dei dipendenti di aziende al medesimo riconducibili in una società con sede formale a Malta creata ad hoc per favorire l’evasione contributiva. Il secondo è stato perpetrato attraverso la creazione di un sistema di false fatturazioni volto alla creazione di costi e crediti Iva fittizi, con un’evasione ai fini delle imposte dirette per circa 4 milioni di euro e di Iva per ulteriori 800.000 euro. Le indagini dei finanzieri della Compagnia di Portogruaro sono state dirette dal procuratore della Repubblica di Pordenone, Raffaele Tito, e dal sostituto procuratore Monica Carraturo.