Morì al suo primo giorno di lavoro in Friuli, due persone rinviate a giudizio

Due persone rinviate a giudizio per la morte di Donato Maggi.

Nessun rinvio e nessuno “sconto”: il Gip del tribunale di Pordenone, Rodolfo Piccin, nell’udienza preliminare del processo per la morte bianca di Donato Maggi, tenutasi oggi, ha rinviato a giudizio tutti e due gli imputati. Si tratta di Aldo Bertoia, 51 anni, di Latisana, titolare della ditta per la quale la vittima aveva appena iniziato a lavorare, e Dionisio Trevisan, 69 anni, di Precenicco, dirigente e responsabile del cantiere, e la stessa azienda.

I familiari dell’operaio, rimasto folgorato il 7 agosto 2018 in un cementificio di Fanna, assistiti da Studio3A-Valore S.p.A. e dall’avvocato Marco Frigo del Foro di Padova, si sono costituiti parte civile. Le difese degli imputati avevano chiesto il patteggiamento per Trevisan, il non luogo a procedere per Bertoia e la sospensione del procedimento per l’azienda per darle modo di adeguarsi alle disposizioni della legge 231. Il Pubblico Ministero titolare del fascicolo per omicidio colposo, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, Federico Facchin, non ha però acconsentito al patteggiamento, in forza del fatto che la pena sarebbe stata troppo esigua rispetto ai reati contestati e che in quasi due anni i congiunti del lavoratore non sono stati ancora risarciti, neanche parzialmente. E sempre a causa di questa condotta e del notevole lasso di tempo trascorso dall’incidente, il giudice non ha concesso alcuna sospensione del procedimento per l’azienda, rinviando tutti a giudizio con la fissazione della prossima udienza al 17 novembre 2020, alle 12.30, avanti il giudice monocratico di Pordenone.

Maggi, che era originario di Carosino (Taranto), e che, dopo essersi sposato, da soli 5 mesi, si era stabilito a Ragogna, era stato assunto con contratto a tempo determinato (dal 7 agosto all’1 settembre) dall’agenzia interinale Tempi Moderni, in somministrazione di lavoro in una ditta di Porpetto, con la qualifica di operaio e per la mansione di manutenzione impiantistica: era al suo primo giorno lavorativo per la nuova impresa. Come però è emerso dalle indagini degli esperti della Struttura complessa di “Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro” dell’Asl 5 Friuli Occidentale, il lavoratore non aveva alcun attestato di formazione specifica in materia di sicurezza sul lavoro e non vi erano evidenze circa l’avvio ai relativi corsi: nel suo contratto di assunzione l’allegato relativo all’identificazione dei rischi per la salute non era compilato in alcuna voce di rischio e, soprattutto, la sua esperienza nel settore delle manutenzioni era limitata a due mesi di attività. Circostanze che imporrebbero interventi normativi anche sul pur prezioso e utile ambito del lavoro interinale atti a evitare che persone inesperte vengano “catapultate” in condizioni di pericolo.

Quel giorno infatti Maggi, appena giunto sul posto di lavoro, alle 7.45, viene subito mandato all’interno di una cabina di trasformazione del cementificio: l’incidente accade alle 8.05. La ditta aveva ricevuto l’incarico dalla proprietaria del sito di realizzare una struttura atta a rimuovere il trasformatore trifase posto all’interno della cabina: come da sopralluogo effettuato il giorno precedente, il personale della ditta avrebbe dovuto visionare la parte sottostante del pavimento flottante togliendo alcune mattonelle e prendere le misure onde decidere la metodologia e realizzare eventuali strutture per la rimozione del trasformatore, programmata per il 16 agosto. Dionisio Trevisan, responsabile del cantiere, che doveva occuparsi del lavoro con Maggi (un altro collega era stato destinato ad altra attività), tolte le mattonelle, ha ordinato al 37enne di iniziare a smontare le coperture del trasformatore, che risultava ancora sotto tensione, consegnandogli chiavi inglesi e un avvitatore elettrico specifici per la bulloneria dello stesso: operazione che però non solo Maggi ma nessun dipendente della ditta da cui era stato assunto avrebbe dovuto effettuare, in quanto la convenzione con la proprietaria del cementificio riguardava lavori unicamente di natura meccanica e i protocolli di sicurezza di quest’ultima prevedono l’intervento da parte della propria squadra di elettricisti ogni qual volta sia necessario compiere interventi anche ispettivi su impianti normalmente in tensione, come nello specifico. Sul trasformatore poi campeggiava una targhetta con su scritto “Prima di togliere le protezioni accertarsi che il trasformatore sia staccato dalla rete di alimentazione”.

Maggi, di fronte all’ordine impartito dal superiore, ha proceduto, e quando Trevisan, assentatosi per qualche minuto per chiedere un’informazione, è tornato alla cabina, ha trovato l’operaio accasciato sul trasformatore con l’addome appoggiato sui radiatori. Inutili i tentativi di rianimarlo, anche da parte dei sanitari del Suem, subito allertati e sopraggiunti alle 8.32 dal pronto soccorso di Maniago, che hanno eseguito le manovre di rianimazione fino alle 9.26 e a cui non è rimasto che constatare il decesso. Anche alla luce dei bulloni trovati già rimossi dalle piastre laterali del trasformatore, c’è voluto poco per concludere che Maggi, nello svitarli, sia entrato in contatto con parti in tensione elettrica che gli hanno cagionato una elettrocuzione fatale, con conseguente arresto cardio circolatorio, come confermato dall’autopsia disposta dalla Procura e affidata a Barbara Polo Grillo: alle operazioni peritali, come consulente di parte per la famiglia, ha partecipato anche Elisa Polonia messa a disposizione da Studio3A-Valore Spa, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini a cui si sono affidati i familiari della vittima, attraverso il responsabile della sede di Udine, Armando Zamparo, e l’Area manager Luigi Cisonna.

A fronte di tutte queste risultanze, il pm Facchin, al termine delle indagini preliminari, ha chiesto (e ora ottenuto) il rinvio a giudizio per Trevisan e Bertoia, in quanto titolare di fatto e datore di lavoro, accusati di aver causato la tragedia “per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché violazione delle norme disciplinanti la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. A Trevisan si imputa di “aver adibito il lavoratore a svolgere un lavoro non elettrico in prossimità di parti in tensione”; a Bertoia “di averlo adibito a svolgere un lavoro in un contesto (una cabina elettrica) del quale disconosceva i pericoli potenziali nonché i rischi specifici che connotano i lavori di manutenzione impiantistica, nonché senza averlo informato e formato prima dell’avvio della mansione”. Significativa, da parte del pm, la chiamata in causa nel processo anche dell’impresa in quanto soggetto giuridico, motivo che a maggior ragione avrebbe dovuto spingere l’azienda che aveva assunto Maggi e la sua assicurazione, a dare un segnale di collaborazione e di volontà di risarcire il danno in vista dell’udienza preliminare del processo. Segnale che però non c’è stato non essendo stata presentata finora alcuna proposta di risarcimento.